– Oggi sono stato al Centro sociale di Via Berteto, presso via Kant, a Casl de Pazzi, a vedere la mostra di Taxigallery, organizzata da Claudia Sordi e Flora Contoli. Sono rimasto travolto. Innanzi tutto il Centro Sociale: mi ricorda in modo commovente la Comune di Deruta (Paolo, ti ricordi? Lelle, Chiara, che anni meravigliosi, e quanto vi invidiavo…) e il Pecorino Zen di “Verso Sera”, il film più dolce e romantico di Francesca Archibugi. Roma sembra lontana: un parco immenso, una casetta in mezzo al verde, tanta gente bella e triste, mamme come non ne vedevo più da 30 anni, ma non perché non ci fossero più, solo perché io ho lasciato la borgata… Un ex poliziotto che ha votato il Nano mi racconta in un soffio che sono in un covo di Coooomuuuniiiisstiiii, ma lui é “costretto” a venirci perché ha una figlia purtroppo molto malata e i “mangiatori di bambini amici di Stalin” sono gli unici che se ne occupano e la fanno star bene. Mi é sembrata la migliore risposta alla compagna del Newroz a Pisa che era così arrabbiata con chiunque accettasse compromessi. Lo dico con affetto, e senza ironia, né giudizio. Non credo al salvataggio della Classe Operaia. Credo al salvataggio di tutti noi Europei, a prescindere dal colore degli occhi, del passaporto, della pelle, della squadra di calcio, del partito di provenienza. Per vincere, in democrazia, bisogna essere la maggioranza – ed io credo fermamente nella democrazia. Quindi non bisogna erigere steccati, ma includere. Il problema é: bisogna includere con la forza delle idee, mai col ricatto, mai con il tifo calcistico o squadristico (non é un lapsus, é voluto), mai con la vendetta. Non si include odiando insieme, come vuole il PD, ma si include dimsotrando di avere una via d’uscita democratica che funziona, esattemente il contrario di ciò che PD, PDL, Terzo Polo, annessi e connessi offrono. Proprio per questo adoro Taxigallery. Alcune pilote di taxi hanno messo insieme una collezione stupenda di foto d’arte di fotografi che lavorano a Roma e la portano in giro sui loro taxi. Tu sali per caso su uno di questi e ti trovi in mano alcune delle opere, incollate su pagine nere, come le foto di famiglia di una volta. Tra le centinaia di foto che ho visto ne ricordo cinque sopra a tutte: la prima, una foto in bianco e nero, un muro screziato da un’umida povertà, in mezzo la fotina minuscola di un viso africano – l’ultimo contatto con la casa natìa di un lavoratore senegalese a Roma. La seconda, un uomo seduto a terra con in suoi gessetti che dipinge quadri sulla strada, fotografato in una posizione assorta e intensa, probabilmente minato dalla malattia, ma tutto preso dalla creazione, assente al mondo che lo circonda, quasi un ballerino, come il Dick Van Dyke di Mary Poppins. La terza: una fabbrica abbandonata in una valle sotto ad un quartiere, o un villaggio, che viene riconquistata dalla campagna ma allo stesso tempo ingentilita da una bucolica pace postuma. là dove si immagina lavoratori che hanno sofferto in condizioni certamente da cani, e per cui probabilmente quel mostro caduto é stata la vita per anni… La quarta: edifici gialli di memoria fotografati di riflesso su quelle che sembrano delle lastre di acciaio – che mi riportano alle estati allegre e spensierate degli anni ’60, quando quei colori dominavano il Super8 e la città era un giocattolo immenso da scalare, non la gabbia del Labirinto da cui uscirà il Minotauro. Una città che torna un sogno se vista alla rovescia attraverso il metallo, che metafora gentile… La quinta: una foto impossibile in grigio e bianco sporco su carta, un volto mascherato e deturpato dall’alienazione, come una cartolina di un secolo fa da una serie sul sadismo sessuale e la solitudine femminile – un atto di accusa. Ma anche questa gentile, come tutto il progetto Taxigallery: che mette lo sprovveduto, che va alle mostre sapendo già che frasi di circostanza dovrá dire, nella necessità di spiegare perché gli piaccia o dispiaccia una cosa capitatagli per le mani per destino, a sorpresa, perché il Taxi non lo scegli Tu, é lui che ti sceglie, quando non te lo aspetti. L’imbarazzo, la sorpresa dell’arte: la migliore risposta ai cosidetti artisti romani che ho incontrato in questi mesi, che organizzano vernissages solo per far ubriacare ragazze vuote nell’anima (che avrebbero voluto essere artiste e che invece sono sprofondate) e, portandosele a letto, dimostrare che il bungabunga di Berlusconi c’é anche nell’immaginario di questa pseudosinistra sciatta, volgare, che non crea più ma é protetta dalle cooperative e dalla politica emersa dal PCI, che ha uniformato ed annichilito tutto in una sorta di scaciatezza che vorrebbe essere Pasoliniana e che, invece, é solo schifosa e morta. Esattamente il contrario di Taxigallery, che, infatti, a certe mostre non la vedrete mai, e che non fa vernissage, e che non fa ubriacare nessuno, ma include, se volete, facendovi guardare i bambini che giocano in un prato e le loro mamme che bevono un caffé insieme e discutono della vita.

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