Come canta giustamente Maria Luisa Congiu, dietro l’allegria c’è generalmente un’esplosione che nasce dalla rabbia e dalla malinconia. Noi italiani siamo così, non leggeri come i brasiliani (ascoltate “Allegria” da Mina o i duetti di Ornella Vanoni e Vinicius de Moraes), ma nemmeno pesanti come i tedeschi, che quella parola la usano solo negli inni ecclesiastici. Da noi, se scavi nell’allegria, trovi spesso il suo contrario, come nella famosa canzone di Lucio Dalla ed ancora di più in una delle mie preferite di Enrico Ruggeri, “Vivo da Re”, scritta ai tempi dei Decibel, nella quale l’allegria è frutto di una menzogna e si fonda su una disperazione che preme per uscire. Ma questo era prima – direbbe Gaber. Prima, quando ci si odiava, ci si temeva, ci si vergognava di noi stessi. Improvvisamente cala la pace, ed anche da quella pace, come una sorpresa, nasce un’allegria che ottunde ogni altra sensazione – la certezza che non ci sia nulla di abbastanza grave da doversi difendere con l’ansia. Perché l’ansia non esiste in natura, ne sono certo: è una nostra versione cervellotica del connubio tra pigrizia e paura, è un inefficiente metadone del terrore, che invece è vero e puro. Nessun giudizio, siamo tutti uguali, ed anzi, oramai, la stragrande maggioranza di noi non è più nemmeno capace di dare un nome al proprio disagio. Il mondo, la vita, si dividono tra chi risolve i problemi e chi li crea; tra chi genera denaro e chi lo distrugge; tra chi proietta e chi è; tra chi si aspetta che da fuori qualcuno risolva i nostri vuoti e chi, invece, quei vuoti li sente amici. Solo quando sei arrivato al fondo della solitudine, che altro non è se non il distacco tra me e me stesso, scopri la meravigliosa essenza dell’allegria, che è un’assenza – ed anche la grande lezione: amore significa essere capaci (ed averne voglia) di far star bene chi abbiamo di fronte, e non il contrario. Basta madri. Chiunque si lamenta perché LEI (o LUI) non ci dà abbastanza, e si nasconde dietro una morale da supermercato dell’affetto, non solo è egoista, violento, infantile e fastidioso, ma ha la proibizione di accedere all’allegria. Io non vivo da Re, ma vivo da me. Una sensazione di leggera follia (“Innocenti evasioni”), canterebbe Lucio Battisti…

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