Il mondo e la vita sono sempre state complesse e contraddittorie, anche quando Babbut, Mammut e Figliut si nutrivano di bacche e vivevano in una caverna. L’essere umano però è strano: riesce a dare un ordine a ciò che percepisce, e poi si convince che quell’ordine sia l’unità di misura di tutta la realtà, ed agisce di conseguenza. Se il risultato è negativo, l’essere umano ha tre scelte: a) ampliare la quantità di nozioni complesse con cui percepisce la realtà; b) rassegnarsi e credere che ci siano divinità che facciano della realtà ciò che vogliono, per cui sia superfluo imparare; c) cercare, con la reiterazione, di “educare” la realtà, come il moscone che cozza per ore contro il vetro, non riesce ad uscire, ma non è in grado di cambiare strategia. Coloro che scelgono b) e c) sono oltre il 95% dell’umanità. Tra loro ci sono persone intelligentissime, che purtroppo non hanno una forza vitale sufficiente. A questo punto l’essere umano la butta ancora più in caciara, e riunisce sotto la voce “sentimentalità” tutte le proprie reazioni inconsulte dettate dal bisogno, dalla rabbia, dal testosterone, dalla paura – e crea una propria divinità, cui assegnare il compito di capire la vita al posto nostro. Vi stupirà, ma di solito costruiamo divinità che abbiano capacità molto meno efficienti delle nostre. Abbiamo bisogno i Dei da disprezzare, con cui essere arrabbiati, che ci diano l’impressione, quando interagiamo con la proiezione del loro essere che vive in noi, di poter ridurre al nostro ordine anche gli Dei. A quel punto sposiamo uno stronzo, un mentecatto, un capolavoro di pigrizia, e diciamo che ci fa tenerezza, e da quel giorno in poi scendiamo al suo livello e troviamo un’uscita d): invece di allargare le nostre competenze, le riduciamo e ci addormentiamo nell’ignavia. Per capirsi, la chiamerei la decrescita felice dell’anima. Io l’ho praticata per secoli ed ora sto facendo una fatica terribile per guarirmi ed accettare di doverlo fare da solo.

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