Oggi è il compleanno di Tamara Danz. Se fosse ancora viva, oggi avrebbe compiuto 63 anni, ed invece ci ha lasciati diciannove anni fa. Nessuno di voi sa chi fosse Tamara. Ve lo dico io. Tamara è il simbolo della Donna Impossibile, della furia primordiale che consuma amore e rabbia, tragedia e paradiso, creazione e distruzione, unica ed inarrivabile, mai acciuffata da nessuno, che guidò una band (Silly) in una storia di successo che continua inalterato nel suo nome anche oggi e per mille anni ancora, nell’unico modo per lei possibile: assunta come corista, diventa l’amante del cantante e fondatore, lo caccia dalla band, e poi diventa per anni, a turno, la compagna di tutti i componenti, ottenendo che nessuno di loro lasci mai né Tamara, né Silly. Una donna capace di profondità inconcepibili, di sorrisi che sciolgono l’anima, di sguardi più taglienti di una ghigliottina, e di superficialità al limite della volgarità. Era bella, anzi bella da impazzire, a qualunque età, e nonostante si vestisse con un gusto discutibile, non fosse molto carina ed avesse modi tutt’altro che femminili. Quando cantava ti portava su un’onda che da solo non avresti mai preso: amore romantico, poi la più coraggiosa delle promiscuità, sarcasmo politico e sociale, arrendevolezza, vecchia strega che corre con i lupi e bambina indifesa perduta nel bosco. Tamara Danz è il delirio, come una droga, come LA droga. Le registrazioni sui suoi dischi sono deludenti. Se l’aveste mai vista dal vivo (come me) non avreste mai comprato i suoi album, tranne “Hurensöhne” (Figli di puttana), il suo disco sulla riunificazione delle due Germanie, celebrata con un’indimenticabile ballata finale, “Traumpaar” (La coppia ideale), che preannuncia la fine del mondo in cui lei era vissuta, e che si oppone al rock rabbioso della prima canzone, “Halloween in Ostberlin”, che elencava i mostri che, dopo la caduta del Muro, erano entrati nella “sua” Germania Est. Dal vivo Tamara trascendeva tutto, ti trasformava in un grumo di sangue in ebollizione. Voi che amate quella macchietta psicolabile di Vasco Rossi o quel macho primordiale di Bruce Springsteen, se non avete visto Tamara su un palco non sapete nulla dell’energia. E quando cantava Figli di Puttana capivi che era meglio non innamorarsene (anche se io mi sono sempre innamorato di donne così): diceva che il suo cuore apparteneva solo a quelli che vengono e restano solo per una notte, e vengono solo per farti godere forte e farti male anche peggio. Tutti gli altri annoiano. La mia amica Angelika Weiz, una cantante meravigliosa, che è certamente un’icona della musica tedesca, ed è piena di cuore e cervello, la ricorda con struggente nostalgia – grazie al suo post mi sono ricordato di questa data. A “Gelli” ricordo una delle sue strofe più meravigliose: “Addio amore mio, voglio migrare per una volta con l’autunno; addio amore mio, ritornerò quando fioriranno i campi; perché questa estate è morta, ed io lo so per certo, che se io restassi, morirebbe anche il nostro amore”. Tamara non ha mai promesso di tornare. Ma noi, che l’abbiamo amata, abbiamo pazienza, ed aspetteremo per sempre.

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