Licio Gelli, come era giusto che fosse, è morto nelle vicinanze temporali della Leopolda. Il lungo ed avventuroso corso della sua vita si è compiuto in Matteo Renzi – il simbolo di quanto Jeff Sparrow aveva già descritto: partiste con la paura che il comunismo vi avrebbe costretto a lavorare molto per pochi soldi, vi avrebbe rubato gli averi ed avrebbe cancellato la vostra capacità di incidere sulla realtà, ed invece è stato il capitalismo a mettervi in questa condizione. Licio Gelli, però, era anche altra cosa. Non solo per le impressioni che ne ho tratto conoscendolo personalmente. Quando, ragazzino, venne inviato a scortare l’oro di Mussolini, su incarico di Otto Skorzeny (l’ufficiale nazista che realizzò l’operazione di salvataggio di moltissimi gerarchi alla fine della Seconda Guerra Mondiale e poi la loro riorganizzazione dei paesi arabi, in Sudamerica, e poi attraverso François Genoud ed altri in Svizzera), Licio Gelli era parte di una ristretta cerchia di persone che, credendo nella mistica nazionalsocialista, condita dell’opportunismo tutto toscano del personaggio, gli aveva spalancato le porte di un sottobosco burocratico del nazismo del dopoguerra che è stato capace di influenzare ed infiltrare la Chiesa Cattolica, la politica europea e sudamericana, la destra repubblicana degli USA, i sogni dei militari, gli incubi dei massoni, le follie dell’aristocrazia morente che Bismarck e Metternich avevano salvato per l’ultima volta a Vienna, esattamente 200 anni fa. Con la morte di Licio Gelli, ed il suo passaggio ideale di consegne a Matteo Renzi, si spegne un mondo intero. Un mondo di stragi e segreti, di canagliate e furberie, ma compiute in un’epoca di crescita, di speranze, di grande tensione morale, di attenzione, di senso di responsabilità. Anche nella parte più oscura della Forza, insomma, sono scomparsi i Grandi Maestri e sono rimasti i pupazzi. Di loro ho ancora più paura. Gelli uccise centinaia di persone in base ad un folle calcolo politico. Credo che i nuovi uccidano per dabbenaggine, incapacità, cattiveria ed impotenza. Ma hanno ereditato il potere, perché noi abbiamo abdicato alle nostre responsabilità. Chi crede al complotto, la smetta. L’imbecillità di chi crede ancora nel capitalismo, nonostante la sua fine, non fa parte di un complotto, ma di un manicomio in cui i pazienti vengono invitati a suicidarsi. Ed a dettare la linea non ci sono più coloro che, come Gelli, credevano in qualcosa e seguivano una mistica folle ed annichilatrice, ma i loro figli coglioni. E noi peggio.

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