Era l’estate del 1978. L’ultima, prima della Befana del 1979, quando sarebbe scesa sulla Terra la salvezza. In primavera avevo preso una manganellata ed ero svenuto, una bellissima manifestazione in cui Roma era stata occupata da una gioventù scriteriata ed allegra ed io avevo scoperto di essere vivo, svenendo sul colpo. L’involucro, che mi sembrava brutto e sciocco, ed era stato da sempre proprietà apparente dei miei genitori, mi veniva restituito finalmente privo di protezione. Ero andato a Rimini con Antonio Mercuri, mi ero lasciato buttar fuori di casa dai suoi zii, perché avevo baciato loro figlia, e dormivo in un sacco a pelo studiato per un viaggio su Plutone. Non oso immaginare che odore avesse, so solo che dopo un paio di notti giacevo nudo nella sabbia e lo usavo solo come coperta. Lui, il mio corpo, faceva delle cose stranissime. Pareva non aver bisogno di riposare, e nemmeno di mangiare. Tornato a Lavinio, ero sceso in spiaggia, come sempre – e mi ero messo a giocare a pallavolo, come sempre. Ma al primo salto mi sono accorto che qualcosa non andava: ero con tutta la testa e le spalle sopra la rete. Il mio corpo aveva deciso di essere inusitato e volgarmente esagerante. Poi venne la squadra di nuoto a trovare papà, ed andammo tutti a fare al bagno al largo. Mi sentivo volare sull’acqua. Al ritorno a riva, per la prima volta, Barbara N mi sorrise e mi disse che ero carino. Suonando la chitarra, mi accorsi che, come per magia, le mie mani, senza nessuna istruzione, avessero imparato a sottolineare la linea del basso, pur suonando le corde più alte. Basta Bennato, ora CSNY e Led Zeppelin. Fino a Natale quello strano corpo mi mostrò tutta una serie di possibilità finora sconosciute e, occupato com’ero (e ancora sono) a giocare con i miei fantasmi, mi dimenticai di averlo. Inutile dire che anni più tardi quello stesso corpo mi abbia preso a ceffoni per come lo avevo trattato, ed a ragione. Fino a questa estate, in cui persino la testa ha smesso di funzionare. Non basta più cantare “Ho il corpo stupido” di Gaber, come se fosse una strofetta apotropaica. E giù nel tunnel, là dove i mostri godono dei disastri. Fino ad una settimana fa, quando la cura per la mia cerebropatia è stata interrotta, perché mi guariva da un lato per ammalarmi dall’altro. Stasera, seduto in un caffè accanto ad una persona straordinaria e inattesa, ridendo come due bambini, di noi e dei nostri reciproci, meravigliosi bambini, c’era un uragano che pareva portarsi via Follonica con tutto ciò che siamo. Mi sono sentito il corpo. Ci siamo dato un bacio sulla guancia, ed è rimasto lì. Guidando nella tempesta, ascoltavo la mia schiena ascoltare le vibrazioni dell’auto in uno stato di esaltazione. Al telefono, con il regalo della Befana del 1979 nel cuore e nelle orecchie, percepivo questa nuova mia voce, le mie spalle, tutto. Non prometto nulla. perché questo corpo strano ed inerte non posso immaginare che mi appartenga realmente. Ma stasera qualcuno mi ha dato una lezione di vita e di allegria, parlando a me ed a lui, come se fossimo una cosa sola. Mistero. POST SCRIPTUM. A pallavolo perdemmo. Barbara N mi baciò con grande parsimonia per tre mesi, poi boh, scomparsa. Mi vendicai pochi mesi più tardi, nuotando il lago di Piediluco a delfino ed illudendo una bellissima ragazza siciliana che, nascosta tra i miei muscoli, esistesse un’intelligenza da scoprire. Sbagliava, purtroppo. Ma sbagliando s’impara.

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