– Venerdì sera sono stato a vedere l’Amleto di Antonio Bilo Canella al Cineteatro di Via Valsolda 177. Scrivo solo ora perché ho dovuto pensarci su molto. Non si tratta di teatro, o forse sì, ma va al di lá di qualunque cosa io abbia visto finora – tranne le Costellazioni Familiari, cui ho preso parte in un periodo importante della mia vita, presso l’Accademia di Stefano Silvestri Dharam Singh, a Roma. Sulla scena, chi agisce segue l’onda energetica che viene dal pubblico e, come per un miracolo, riproduce non solo parte degli stati d’animo, ma addirittura parte delle storie personali dei singoli componenti del pubblico, che infatti (come me, ma eravamo in tanti a dire lo stesso) escono dallo spettacolo sudati, spossati, sconvolti. In questo senso ripetere i momenti più brillanti di 100 minuti squassanti di improvvisazione suona quasi un insulto, eppure ce ne sono stai di esilaranti (il ballo esageratamente saffico fra Antonio ed il manico di scopa, culmimante nella percossione di un cadavere), la realtà, trasformata in ghiaia, che vola da tutte le parti inseguita da un Amleto giovane, perplesso, edipico e poi invece stravolto anch’egli dalla potenza evocativa della maggior parte del pubblico che, atterrita, cercava di schernirsi. Il centro della serata è stata la diatriba “da soli vs insieme”, nella quale sono stato coinvolto direttamente e pesantemente, sorprendendomi a ribadire il contrario di ciò che affermo in pubblico. Perché la performazione, agendo sul sostrato, tira fuori da te, se accetti il gioco, ciò che sei e non ciò che interpreti – soprattutto il bimbo più o meno spaventato e l’adulto fin troppo umiliatio e rassegnato. ma non si tratta di una terapia. Antonio Bilo Canella apre le ferite (anche le proprie, per chi come me lo conosce e lo ha visto urlare a volto trasfigurato nella rappresentazione di un suo odio/amore invivibile eppure indirimibile) e le cosparge di sale, non lenisce il dolore – lo mette in scena, si offre come veicolo, te lo mette lì, ai piedi, come un cocker scodinzolante, ma che poi viene risucchiato dal gorgo dell’accadere, cadere, pervadere, invadere, crollare. Andateci, se potete, a mente aperta e col cuore in mano. Oppure scegliete Pasolini, che è il contrario di tutto ciò. Il teatro di Bilo Canella, fatto di tantissima tecnica e pignoli dettagli, é l’opposto dell’intellettualizzazione del teatro indipendente di certa Italia. La corporeaitá della sua performazione è l’opposto della sessualizzazione: anzi, è puro dolore animale, atavico, primordiale, universale. Evviva, vuol dire che c’è ancora una speranza.

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