Ho appena finito “La regola dell’equilibrio” di Gianrico Carofiglio, dopo aver ingurgitato in una sequenza parossistica tutti i bellissimi romanzi di Ben Pastor su Martin Freiherr von Bora. Carofiglio l’ho tenuto per ultimo, perché adoro le sue trombonate di filosofia del diritto (che sono poi il fulcro dei suoi romanzi migliori) e perché parla di un intellettuale italiano snob della mia età, e quindi ci sono alcune cose in cui mi riconosco. Mi piace di più il Rocco Schiavone di Antonio Manzini, specie per il fantasma della moglie morta che continua a vivere nel suo cuore e nella sua casa, ed in questo senso non si può non menzionare il Michele Balistreri di Costantini. Tutti e tre hanno una costante. Tre uomini sui 50 che – a causa delle vicissitudini personali e della costruzione caratteriale – hanno fortunatamente perso il treno del rimbambimento da matrimonio precoce come diga contro lo sviluppo di sé stessi ma, al contrario del Montalbano di Camilleri, continuano ad avere storie improbabili con donne che nessuno di noi incontra mai. Capisco che, dando una speranza al malato terminale, costui sia più incoraggiato a comprare il libro – ed alla fine la trama non ne soffre poi tanto – ma mi pare un esercizio socialmente inutile e quindi letterariamente scadente. Gli snob della mia generazione non sono così. Sono ancora alla ricerca di sé stessi, perché “sé stessi” sta cambiando velocemente, e non incontrano nessuno per cui valga la pena – oppure sì, ma sono donne impegnate altrove, con tutt’altri drammi per la testa (a ragione). La solitudine, l’imparare a bastare a sé stessi, non è una condanna, ma una realistica scommessa. E da gente come noi ci si difende, non si collabora.

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