Da tantissimi anni, la domenica, lavoro per recuperare ciò che non ero riuscito a fare durante la settimana. Parcheggiando l’auto a noleggio che avrò fino a lunedì mattina, ho visto tanta gente sciamare in gruppi familiari o coppiette per le vie del centro. Mi sono ricordato con un pizzico di nostalgia alle domeniche passate con papà, nonno e Carlo Fusi a giocare a mariaccia o a traversone. Ma poi basta. Non sono nato per certe domeniche. Il mio grande amico Constantin Seibt mi ammoniva sempre: Paolo, un uomo deve imparare a sprecare tempo, è una qualità fondamentale nella ricerca della felicità. E mi sorrideva, perché sapeva che non ce l’avrei mai fatta. Un’altra delle persone da cui imparo molto, Sara Nasorri, riesce a mantenere uno splendido equilibrio fra una grande passione professionale e delle serate di semplice e spensierata allegria, nelle quali ha probabilmente imparato il suo meraviglioso modo di ridere, che le invidio e le ammiro. Invece io accumulo rabbia e stanchezza come se ci fosse una gara a punti ed io mi sentissi a un pelo dal vincerla, per poi accorgermi che oramai da anni non c’è più nessun arbitro a contare il punteggio e gli spettatori, dopo aver visto il finale del Dottor Zivago, ora meglio la pubblicità che la partita. Ieri pomeriggio, in un momento di smarrimento, Marcello Fusi mi ha ammonito ancora: smetti di riempire il vuoto altrui, pensa invece al tuo, che ti stai distruggendo. Ha ragione, ma non sono più lì. E’ vero che in passato, alla ricerca di affetto, mi sono letteralmente prostituito – ma è passata. Ma non è della solitudine che si vuol parlare (Gaber), che le mie leziosaggini in proposito non si sopportano più. Qui si parla della stanchezza, del fatto che con gli anni non riesco più a mantenere il ritmo, che ho bisogno di pause – ed in queste pause penso a cose superflue, dannose, deprimenti, oppure mi vengono idee strepitose. Cosa sia meglio? Ma la depressione, naturalmente, perché per abitudine le “idee strepitose” cerco di tramutarle in fatti, aggiungendo fatica alla fatica. C’è chi dice: ci riposeremo da morti. Guardandomi intorno, quasi tutte le persone cui voglio bene e che stimo, vivono esattamente come me. Siamo una sorta di parco eolico immenso in cui giriamo tutti come trottole che, invece di trasformare il vento in energia, trasformano l’energia in vento. Vedete? Tre minuti di minchiate per riposarmi, ed ecco che viene il titolo del mio romanzo che dovrò scrivere oggi pomeriggio: “l’uomo che trasformava l’energia in vento”. Ed alle tre gioca la Roma. Ribellarsi? Necessario. Vado a dormire, ci sentiamo domani. Salutatemi la realtà.

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