In queste ore in Gambia si vota per eleggere il Presidente in una situazione – come spesso accade in Africa – al confine con la guerra civile. Si tratta di un Paese piccolissimo, abitato da meno di 2 milioni di persone, ed estremamente povero, ma ha un’importanza fondamentale, perché è un esperimento pilota unico sul Pianeta: si tratta della prima nazione che, dovendo scegliere un blocco di appartenenza, non sceglie né Stati Uniti, né Russia, né Cina – ma il Libano e l’estremismo religioso sciita, minoritario nel mondo musulmano, ma dominante in Iran. Il Gambia prende il proprio nome dall’omonimo fiume, che a sua volta mantiene il vecchio nome Mandingo, e che era cresciuto nel tardo Medioevo come via commerciale, specie per i trafficanti di schiavi. Nonostante in epoca moderna il Gambia sia sempre stato inglese (ed è per questo che nel 1965 divenne indipendente da solo, e non insieme al Senegal, che lo circonda geograficamente, e che è tradizionalmente legato a Francia e Belgio), al suo interno prosperano famiglie olandesi, baltiche e portoghesi. Il Gambia non ha petrolio, non ha un sottosuolo ricco di minerali, è importante (economicamente) per le arachidi e più in generale per l’agricoltura. Nel 1994, con un colpo di Stato guidato dai militari, il tenente Yahya Jammeh si è proclamato Presidente e da allora, attraverso periodiche elezioni, lui ed il suo partito sono rimasti al potere, nonostante un tentativo rovesciarlo con le armi nel 2014 – in un tentativo compiuto quasi esclusivamente da Gambiani provenienti dall’Esercito americano e da collaboratori del Presidente, il che lascia molti dubbi sulla sua veridicità ed ha avuto come unico effetto la condanna a morte e l’esecuzione di alcuni oppositori politici di Jammeh. La popolazione è poverissima, anche se il PIL cresce, da circa 15 anni, a ritmi serrati, ma escludendo la gran parte della cittadinanza dal welfare e portando sempre più persone nella capitale Banjul, dove vive già oggi oltre il 60% dei Gambiani. Cosa è cambiato in questi 15 anni? Che Jammeh ha iniziato a costruire un gruppo industriale, logistico e commerciale sotto il suo personale controllo, che dia lavoro ai propri sudditi e garantisca un futuro economico al Paese. I soldi li ha presi in Canada, dalla Lebanese Canadian Bank, che si è dimostrata la banca che, fuori dalla mischia, gestisce i soldi degli hezbollah – ovvero il braccio armato sciita in Libano. In poche settimane, partendo dall’Ambasciata Libanese in Gambia, e sotto la spinta possente di NIORDC (il gruppo petrolifero di Stato di Teheran) un intero viale si è trasformato nel fulcro economico della nazione: Kairaba Avenue ha visto nascere una società petrolifera, Gampetrol, controllato dal Presidente e dagli Hezbollah, poi una frotta di persone famose (e sulla lista nera degli Stati Uniti in fatti di terrorismo) hanno aperto un ipermercato (Kairaba Center), un centro commerciale enorme e provvisto di prodotti mai visti prima in Gambia (Tajico), un sistema bancario moderno ed integrato con opzioni “normali” ed opzioni “sharijah” (basato su una filiale di Ecobank, un ufficio di hawala e soprattutto sulla Prime Bank Gambia). Oggi, l’intera leadership economica del Gambia è sulla lista nera dell’OFAC (l’ufficio che traccia gli assets considerati terroristici del Dipartimento Federale del Tesoro americano), ma il presidente Jammeh se ne frega. L’Iran ed il Libano, per lui, sono la chiave per crescere, e non essere costretto nella morsa della miseria in cui gli altri Paesi colonialisti (USA, Russia, Cina e Francia) tengono i Paesi dell’Africa sotto il loro controllo. Con questa indipendenza in mano, Jammeh è stato, negli ultimi 20 anni, un elemento affidabile per tutte le trattative sulle principali controversie politiche, economiche e militari dell’Africa centrale ed occidentale. Nel 2015 è uscito dal Commonwealth, ha scacciato l’ambasciatrice dell’Unione Europea da Banjul, ed ha trasformato il nome dello Stato in Repubblica Islamica del Gambia”, stravolgendo oltre 50 anni di laicismo dello Stato, nel quale il 90% della popolazione è sì musulmana, ma sunnita. Vi assicuro che per queste differenze ci si ammazza per strada. Jammeh stavolta ha un rivale forte abbastanza per rovesciarlo, l’immobiliarista Adama Barrow, sostenuto da tutti i partiti tranne quello del presidente uscente. La paura riempie le strade di Banjul e del resto del Paese. Chiunque venisse dichiarato vincitore verrà probabilmente affrontato con la violenza. Ma noi dovremmo fare estrema attenzione a questo risultato. L’idea che un Paese così lontano da Beirut e Teheran possa scegliere di appartenere ad un blocco politico, militare, economico e religioso, che sia emanazione di quegli Stati, è un fatto nuovo, rivoluzionario. Personalmente, credo che le elezioni non cambieranno lo “statu quo”. A prescindere da chi sarà eletto presidente, il potere economico degli Hezbollah continuerà a guidare il Gambia e ad essere un esempio unico nella storia tumultuosa di questi anni di confusione derivanti dal completamento della globalizzazione.

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