L’essere umano vive solo nella contraddizione. Da sempre, da subito. Essere unici, ma appartenere. Essere soli, ma visti. Con il tempo cambiano le regole d’ingaggio, si cerca di ottenere il massimo possibile, per poi scoprire che si ha bisogno della sconfitta per poter riconoscere una vittoria, e che bisogna accontentarsi – e l’unico modo per farlo, è non accontentarsi mai. Come? Trovando qualcuno che condivida la nostra falsificazione. Che ci dica che siamo ciò che non siamo, ed in cambio noi gli diciamo che lui/lei è ciò che non è. La millanteria è l’unica risposta trovata dal genere umano per calmare le persone escluse dal cerchio dei prescelti. Quindi per calmare quasi tutti. L’alternativa è drogarsi. Con il passare del tempo bisogna persino imparare ad accettare che non siamo eterni, ma che nemmeno è eterno il momento in cui siamo, ed è così intenso. Ogni volta che iniziamo qualcosa che riteniamo importante, lo facciamo con entusiasmo, anche perché crediamo di immaginare come ci sentiremo dopo, e come ci sentiremo durante. Oggi, che il mio corpo non mi permette di giocare a pallone con gli amici, non rimpiango un gol, ma il correre sudati spalla contro spalla. Delle lotte, rimpiango le lotte, non la vittoria o la sconfitta. Per questo quasi tutti abbiamo bisogno di credere alle nostre millanterie ed alle nostre proiezioni, che sono le stelle grazie alle quali teniamo il corso della nostra navigazione nella vita. Trenta anni fa “Il Comportamento” di Gaber mi era bastato per capire che queste menzogne e proiezioni avvelenavano i ricordi, ma servivano a credere nelle cose mentre accadevano, altrimenti tutto sarebbe parso pura follia. Quando, guardando un altro essere umano, ci accorgiamo della sua ipocrisia, della sua mendacia, della sua debolezza, sappiamo farlo, perché conosciamo la nostra. Gaber chiudeva con una domanda serissima: dobbiamo allora rinunciare a cercare di capire chi siamo e chi siano gli altri? Gli rispondo solo oggi. Non importa, lo si può fare o si può lasciar perdere. In entrambi i casi bisognerebbe imparare a farlo con stile. Chiudere con le persone, i luoghi, le vite, in modo non traumatico, semplicemente rinunciando a tenere in piedi il complesso castello delle proiezioni. Quel castello, probabilmente, cercava di spiegare e dare delle regole ad un legame che non siamo in grado di spiegare e di riporre in un semantema. Ma questo è un metodo pericoloso. Se siamo legati ad una persona, e questa commette un atto che per noi è da considerare imperdonabile, persino se fossimo stati noi stessi a commetterlo, si deve decidere. O si continua, ma allora bisogna cercare la natura profonda di un legame, o bisogna smettere. Se siamo legati ad una persona, e questa frequenta persone che riteniamo disprezzabili, aderendo al loro mondo, è più difficile. Sarebbe meglio chiudere, ma il “già detto” si contrappone ad una chiusura non traumatica. Si tratta di orgoglio ferito. Lui/lei non può essere legato/a contemporaneamente a questa persona, che disprezzo, ed a me. Impossibile. Uno dei due legami è ovviamente opportunismo, ed a nessuno piace sapere che ciò che ci viene offerto, in termini affettivi, sia in gran parte opportunismo. Eppure, l’opportunismo è una delle grandi forze sociali che tengono in piedi il convivere umano ed evitano spesso che ci si ammazzi a vicenda. Sicché va benissimo così. Si può andare avanti. Ed alla fine ci si rende conto del fatto che persone, che parevano insostituibili, divengono irrilevanti, e parlare con loro diventa più superficiale e faticoso. Ognuno di noi ha una sola energia da dedicare, e la dedica a ciò che mostra prospettive. Sono in un’età nella quale rinfacciarsi le cose è divenuto estremamente noioso, meglio un messaggio criptico sui social networks. Per poi tornare, il più onestamente possibile, al lusso che la nostra era ci ha regalato: imparare ad accettare sé stessi. Fino a cento anni fa non era possibile, bisognava limitarsi a sopravvivere, e quei tempi stanno per tornare. Nel futuro, come nel passato, sapere chi siamo e chi siano gli altri sarà irrilevante. Sarà necessario solo capire se, nel macello, si batteranno con o contro di noi. Sicché, da viziato rappresentante del mio tempo, torno al mio sistema di contraddizioni, ai miei sofismi, alle mie proiezioni, alle mie millanterie, senza promettere un’onestà che nessuno di noi è capace di praticare. La prostituzione sessuale è solo una forma atletica di tutte le possibili prostituzioni che, come l’opportunismo, sono alla base del vivere sociale. Da vecchia baldracca, quale sono e fui, conservo solo il vezzo di dimenticare coloro che vivono ed investono in persone che disprezzo, a meno che non si tratti di sangue del mio sangue. Ecco l’uomo delle caverne, l’unico vero. Uno che usa il randello e morirà per una randellata o il morso di una belva. La parte migliore di me.

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