– Tanto tuonò che piovve. Sono andato a vedere “Fratto X” di Rezza e mi è quasi piaciuto. Sono addirittura tentato di chiuderla qui, ma chi mi legge sa quanto io sia innamorato della mia logorrea. Le scenografie dello spettacolo sono meravigliose, cose mai viste oppure già viste ma mai così belle. Il robot col palloncino che ha uno dei ruoli principali è indimenticabile, così come la trovata di avere un attore deuteragonista ma Rezza che parla per tre: per se, per l’attore ed il robot. Grandissima la scena finale con la lente che fà rimbalzare la luce degli spots sui visi degli spettatori: Maurizio che è uno stronzo, Scott che si chiede se esista ancora la spensieratezza, e via di seguito. Tantissime trovate divertenti, tutte costruite con lo stesso unico sistema del sillogismo. Se l’affermazione X è vera e l’affermazione Y è vera, allora da queste due concause ne consegue che debba esistere una Z che sia vera anch’essa, logica deduzione di X ed Y. Ma dato che X ed Y sono follìa pura, Z è verosimile solo perché il sillogismo afferisce metaforicamente ad una quarta forza della logica aristotelica, che è l’usanza, la regola sociale. Togliete questo e la grande fisicità, restano solo le grandi scenografie, che già da sole giustificherebbero il prezzo del biglietto. Rezza dice cose facili facili, non usa mai il congiuntivo, non esprime mai opinioni controverse, cerca nel pagliaio della banalità l’ago che nessun altro sarebbe stato capace di trovare, e poi gioca con la nostra percezione del tempo e dello spazio con una maestria incomparabile per farci credere che esistesse un motivo per trovare qull’ago – quando un motivo vero, dicono immediatamente dopo i suoi personaggi, non c’era mai stato. Lo sketch su Mario, che si svolge in gran parte lontano dal palco, è grandioso, fenomenale. Dopo lo spettacolo torno a casa alleggerito, allegro. Sì, caro Rezza, esiste ancora la spensieratezza. Sei tu, anche se la butti giù un po’ complicata per farcelo capire. E da domani torniamo a discutere e soffrire per cose serie e più noiose, purtroppo.

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