La conclusione provvisoria della crisi politica che ha colpito l’Italia il giorno in cui Napolitano mise Monti alla presidenza del consiglio al posto di Berlusconi mi obbliga a ragionare con la maggior lucidità possibile. Tra l’ottobre ed il novembre 2011, per la prima volta, un governo risultante dalle percentuali dei partiti in Parlamento, venne fatto cadere non da un mutamento di vedute all’interno della nostra politica, ma in seguito a pressioni esterne, che si concretizzarono in un aumento dello spread ed in una sorta di aggressione a Berlusconi ad opera di molti politici dell’Unione Europea. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si prese la responsabilità di dare l’incarico non ad un politico, ma ad un quadro dirigente del gruppo Goldman Sachs, che aveva importanti interessi finanziari nel nostro Paese ed era quindi ineleggibile a causa di un tremendo conflitto di interesse, che il PD non volle cogliere, perché era pronto a tutto, pur di mettere fuori gioco il padrone di Mediaset. In questo modo PD e Napolitano si presero la responsabilità di decidere CONTRO il voto popolare, e senza far ricorso ad una nuova elezione, nominando un governo che mise diversi dirigenti della Goldman Sachs in posti chiave della gestione politica dell’economia italiana – prima fra tutti in CDP Cassa Depositi e Prestiti, la holding delle partecipazioni statali. Ancora oggi gli “amici” di Monti, come Calenda, si battono per svendere gli assets chiave dell’economia italiana e portarci quindi all’autodistruzione. Bene fa il nuovo governo a ripensare la cessione di Alitalia a Lufthansa, visto che, con i commissari al potere, Alitalia sta andando bene… Il governo Monti si distinse come un governo molto attento agli interessi della Germania, del Regno Unito e della Francia, e che accettò di imporre una politica di austerità sulla quale mi permetto di avere un giudizio estremamente negativo, perché portò il Paese ad una vera e propria implosione (come ripete spesso Vladimir Spirito, ci vuole inflazione per ridurre il debito e rilanciare l’economia, loro fecero l’esatto contrario), fatto che rese evidente anche al PD che Monti non fosse gestibile e portò poi al governo Letta, poi Renzi. Tutte maggioranze decise a tavolino a prescindere dai risultati elettorali. Per la prima volta venne sancito il principio secondo cui l’elettorato a volte sbaglia, e che alcuni partiti si possano arrogare il diritto di ignorarne il volere. Una deriva che era iniziata già nel 1994, con il primo governo Berlusconi, che, in accordo tacito con il PDS, decise di spogliare di qualunque rilevanza il parlamento e rendere delle mere macchine elettorali i partiti, riportando il dibattito in Italia al tempo di valvassori e valvassini. Non si governa più a causa delle proprie proposte, ma per decisione di un’aristocrazia intoccabile ed ingiudicabile. Se nel periodo 1948-1994 DC e PCI, fingendo di litigare, convergevano sul consociativismo, che era il fondamento dell’equilibrio del sistema, dopo il 1994 PDS e FI concordarono sul fatto che, essendo la politica morta, la battaglia la si facesse con il pettegolezzo, il moralismo, il kompromat (un’invenzione di Stalin, che in Italia si chiama macchina del fango, che i media berlusconiani hanno sostituito al giornalismo, morto con Mani Pulite) e le inchieste penali – con il risultato che oggi non si può più nemmeno credere ai magistrati. Ora vanno al governo due forze politiche che propongono soluzioni di principio, ma non hanno risposte pratiche (ovvero non sanno esattamente come faranno a realizzare i propri contraddittori propositi). Di fatto, l’opposizione al governo M5S-Lega dovrebbe essere costituita da un’alleanza fra Forza Italia ed i rimasugli velenosi ed inutili di quello che una volta era il centro-sinistra (ovvero la logica fusione tra DC e PCI) e che oggi non ha NULLA da contrapporre al banditismo di chi si appresta a guidare il Paese, senza che siano chiari i veri obiettivi e le vere forze in campo (ovvero, chi dia ordini a Salvini ed a Di Maio). Questa alleanza è più solida di quanto si creda, perché si basa sulla negazione ed il disprezzo della complessità, della necessità di conoscere esattamente i dati, di sapere quali conseguenze potrebbero avere alcune proposte folli urlate ai quattro venti. Dall’altra parte non ci sono forze democratiche, ma forze tecnocratiche – ovvero partiti che credono che la democrazia non sia più sostenibile, che quindi si battono sulla riva che fa da confine tra la dittatura politica e ricatto economico, tra Cina e Stati Uniti, tra Russia e Turchia, Israele e la Svizzera (da una parte) ed il Venezuela, il Kazakistan e l’Iran dall’altra. Le parole che ricordano termini del dibattito politico (come Più Europa) del “tempo delle ideologie” (che non era un film con Sophie Marceau) sono cartelloni senza contenuto di galoppini ed eroi dello scilipoting che si offrono come veicolo elettorale per progetti sovranazionali di cui non sappiamo quasi nulla. In questa situazione c’è bisogno di una forza politica laica, preparata tecnicamente, ma nel senso lamalfiano di comprendere e contenere le spinte dell’economia, una forza sociale e solidale, una forza che sia italiana e globalista al contempo, che sappia che in politica bisogna fare spesso scelte impopolari, ma che queste scelte si fanno solo se si spiega onestamente e chiaramente alla gente perché siano necessarie. Questo partito (che non c’è) non ha bisogno di raggiungere il 40%, gli basta un 6 o 7% – ed un’indipendenza dai centri di potere nazionali ed internazionali che, essendo lobbies, non hanno a cuore gli interessi della popolazione, ma di entità economiche, industriali, finanziarie e commerciali. Io sono vecchio, oramai, ma ci sono. Sono pronto a battermi ed anche di farmi picchiare ancora dalla manovalanza criminale Griillina. Se ci siete, battete un colpo.

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