Sette anni fa le telefonai dal giardino della mia casa del Lago dell’Accesa. Pioveva a dirotto, ma il cellulare lì prendeva solo in giardino. Dalla Germania mi diceva che non fosse il caso di sentirci ancora, che io avessi sempre frainteso ciò che aveva caratterizzato la nostra amicizia – un’amicizia dai contorni confusi e spesso indistinguibili, fatta di scene memorabili: lei che fa l’autostop dalla Germania a Zurigo per sorprendermi la prima volta in cui venne premiato un mio racconto; lei che la notte in cui stavamo per traslocare insieme per due anni a Roma decise che aveva paura e mi travolse a suon di rabbia ed insulti – e rimase dov’era; lei che fa una scenata a Berlino perché non mi ero isolato con lei e poi, quando lo feci, mi disse che oramai il momento magico si era trasformato in tragico; lei che dopo l’ennesimo litigio infernale, mentre salivo in auto per andare via il più lontano possibile mi abbraccia e mi chiede: come ho fatto a meritarti? Da allora ho smesso, non ho più risposto né al telefono né alle email. Basta. Oggi è stata una giornata tristissima, angosciosa, deprimente, tracimata in decisioni personali spiacevoli, che se non ci fosse stata come sempre Sara a tenermi in piedi, chissà cosa avrei mai combinato. Poi mi ha chiamato lei, dal profondo del mio passato. Non voleva chiedere scusa, ma solo spiegare: “Per oltre 30 anni non sono riuscita ad entrare in contatto con me stessa, specie quando si trattava di te. Sapevo che eri più importante di coloro di cui mi ero circondata, e mi facevi paura. Per questo motivo mi ero costruita un sistema in cui potevo arrivare fino al limite del sì, e poi nascondermi nel no, dove ero più sicura. Ed a forza di sentirmi sicura, sono rimasta sola tutta la vita. Ma adesso, dopo sette anni in cui sei scomparso, mi hai costretta a dire sì. Non so nemmeno cosa significa, nella mia vita non ho mai detto sì a nulla, ed ho paura. Ma se c’è una sola persona al mondo che si merita un mio sì, quella sei tu, in nome di tutti i no che, per debolezza e fifa, e cancellando me stessa, ti ho detto”. Non è un film. Come dice Sara, appunto, a volte basta sapere che una cosa esista, per essere felici. Il lieto fine è proprio questo. Una telefonata dal lato opposto dell’universo che, in 83 minuti di voci sempre più sussurro, ricorda ad entrambi chi siamo. Ci sono legami al di là dell’amore, legami che sprofondano in zone di noi stessi che lasciamo volontariamente inesplorate. Ma da quando il mio personale Angelo Custode mi ha rivelato questa verità, sono in grado di rispondere la cosa giusta a chi mi tende una mano, scavalcando il tempo e lo spazio, e mi riporta al centro di una cosa che quasi mi uccise, risanando in un colpo tutte le ferite. Non si finisce mai di imparare, per fortuna. Ma io ho ancora più fortuna: il destino mi regala continuamente la possibilità di applicare le cose nuove che ho imparato. L’ho salutata come allora. “Mia Regina, la Tua ultima frase valeva una conclusione, ti bacio, le mie mani nelle Tue”. Ha riso ed ha detto: “Non si conclude nulla, Ciccio, mi hai capita male. Forse solo adesso siamo pronti ad iniziare”. Ma non sia mai che io vi lasci con un happy end pregno di speranza. E andiamo su… Non sono più quello di sette anni fa. In questi anni siete apparsi voi, e la geografia del mio cuore è cambiata, sono immigrato nell’anima di persone che non intendo lasciare né tradire. E non mi fido più di lei: i sentimenti non ingannano, ma l’uso che ne facciamo, in complicità con le nostre fragilità, è criminale. Ed io, modestamente, lo fui.

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