La vicinanza è un concetto difficile da spiegare, difficilissimo da mettere in pratica. L’italiano è una lingua incompleta e fallace. I tedeschi differiscono tra Mitleid, Beileid, Mitgefühl ed altre parole apparentemente simili eppure così diverse. Due ore passate ad ascoltare due anziani disperati, e poi scoprire che hanno ciascuno “solo” tre anni più di me. Messaggi di chi, travolto dalle proprie dinamiche, ti chiede di essere lasciato in pace. Poi un tempo interminabile passato al computer a vedere le immagini di posti che conoscevo, e che non esistono più, i ricordi della casa che si muoveva, esattamente 24 ore fa. Mi sono sentito vicino a qualcuno? O forse le emozioni che mi travolgono sono solo vittimismo, compatimento per me stesso? La paura per mio fratello Mitch e la sua famiglia (per fortuna ingiustificata), la paura per me stesso, perché stasera mi faceva di nuovo male la testa in un modo che ho imparato a temere – queste sì sono cose vere. La vita è una partita che si gioca a due livelli: da una parte la certosina pazienza di mesi ed anni, che molti (me compreso) sopportano solo se la maggior parte del tempo seguono un solo filo rosso. Dall’altra una frazione di secondo, che ti spazza via. Da un affetto, da un percorso, dalla vita stessa. Vederlo negli altri spaventa. Solo qui mi sento davvero vicino ed onesto. Nella paura. E nella responsabilità che provo nel funzionare a prescindere – e ci sono almeno tre persone, più anziane di me, che conosco e che sanno benissimo di cosa parlo. Devo guardare ancora le immagini di Amatrice? Sì, per umiltà, per ammettere la mia paura terribile per il tempo che diventa sempre più breve e le persone che, inavvertitamente, scivolano via dalla mia vita, perché siamo tutti ovviamente impegnati, ciascuno nella propria dinamica. Insomma, Barbara, avevi ragione tu. Sarebbe stato meglio che lo avessi capito allora, quando ti ascoltavo esterrefatto e ti contraddicevo. Sono un uomo lentissimo a comprendere, quando il messaggio non mi piace…

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