Un anno fa, a quest’ora, mi sono svegliato sentendola agitata nel sonno. Piangeva. L’ho accarezzata e si è svegliata. In silenzio si è alzata e se ne è andata, lasciando il suo sudore ed una malinconia dolcissima. Non sapevo ancora il suo nome. Mi aveva raccolto con il suo taxi, non avevo voglia di tornare a casa, così abbiamo girato a caso, raccontando di noi, finchè ha spento il tassametro e le ho fatto compagnia mentre fumava una sigaretta sulla balconata del Gianicolo. “L’ho sposato perché me l’ha chiesto. Credevo che nessun altro lo avrebbe mai fatto. Aveva un parente alle Poste che ci aveva promesso un posto per ciascuno se avessimo avuto un figlio, ma mentiva. Così ci siamo trovati nei guai, ed ognuno di noi ha fatto ciò che poteva. Quando mio papà è andato in pensione, io ho preso la sua licenza, e sono qui. Nel frattempo era nata mia figlia, la vita era segnata. Prigionieri di uno sbaglio irreparabile. Lui ora lavora alla Coop, guadagna meno di me, me lo fa pesare ogni giorno. L’ultima volta che abbiamo fatto sesso, sei anni fa, non so se fosse più il fastidio o il ridicolo. Ho pensato che sarebbe stata l’ultima volta della mia vita, ed avevo 38 anni. Che dici? Era davvero l’ultima volta?” Per cinque mesi, ogni volta che se la sentiva, mi mandava un messaggio e passava a casa mia. Da un certo punto in poi è rimasta a dormire, a lui non importava. Era quasi sempre triste. Mi dava consigli strani, forse giusti, che non ho mai seguito. Mi apostrofava “voi intelligenti”, a volte con cinismo, a volte con tenerezza, a volte con risentimento. Mi ha restituito un corpo con cui non volevo più avere nulla a che fare: il mio. Le ho regalato David Bowie. Non sapeva della sua esistenza, ne rimase fulminata. Dopo un po’ ho scoperto che imparava i testi a memoria, e finalmente avevamo qualcosa di nostro, comune, condiviso. Ma non andava bene. Finché andai in Toscana per tre giorni e decise di seguirmi. Passammo un pomeriggio spettrale nella pioggia di una meravigliosa provincia di Siena. Poi cenammo in un posto che conosco, e lei era bellissima. Uscimmo abbracciati. Mi disse “Tesoro”, e dalla sua bocca suonava così vero. Ma non andava bene. Dopo averlo detto divenne triste. Arrivammo al Country Hotel e lei disse costernata: “Questa non è una stanza per me, io non sono né un’amante né una prostituta”. Non voleva credere che fosse il posto in cui vado da anni. Non andava bene. Glielo giurai, e lei disse: “Questa non è la mia vita, qui non mi sento a mio agio. Questa è la tua vita, io non ho nulla da cercare, qui”. Rimasi in silenzio a vederla salire sulla sua auto. “Quale canzone di Bowie sono io?” mi chiese. Non sapevo cosa rispondere. Rise: “Lady grinning soul, la più bella e triste di tutte”. Mi ha preso nuovamente con il taxi mesi dopo, ha fatto finta di non conoscermi, mi ha dato del Lei, rideva forte. Non sapevo cosa dire. Lei accese il suo ipod e fece partire Bowie. “Scendi”, disse. Ma era lei quella che era scesa, senza mai essere salita. Oramai penso raramente a lei, ma ogni volta che sento David Bowie, ricordo il suo odore ed il suo sorriso. Sono un uomo fortunato, fortunato oltre ogni limite.

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