– Non imparo mai dai miei errori. Certo, ora potrei fare il saputello e dirvi: il concerto per l’Emilia moderato da Fabrizio Frizzi (Dio, come si vede che è un mancato pretino uscito dal Calasanzio che ha sposato una donna più grande di lui solo per fare carriera ed odiarla) è stato uno dei momenti più bassi, il simbolo del degrado totale della cultura italiana. Però l’ho guardato, porca miseria! Come nello schetch di Totò, picchiato dal bruto, che risponde a chi gli chiede perché non si fosse difeso o non se ne fosse andato: “E che sò Pasquale?” Oh mamma… Cosa diavolo ci facesse Francesco Guccini in quello sfacelo (lui che era evidentemente e con grande differenza il più giovane fra i cosidetti “artisti” che si sono “esibiti”), è difficile capirlo. Zucchero era la controfigura della nonna di Elton John. Andrea Mingardi, senza voce, che non parlava una parola sola del testo, voleva duplicare il Joe Cocker della cover beatlesiana “With a little help from my friends” ed è stato sotto al livello di un concorrente della Corrida di Corrado Mantoni, di quelli che venivano fatti smettere coi cori di fischi. Luca Carboni è arrivato ad un punto tale che la differenza fra lui e Vasco Rossi (vestono pure uguale) è che il primo è una versione melliflua di Jovanotti mentre Vasco continua a copiare i dischi dei Queens of the Stoned Age e del grunge moderno senza ironia. Bolliti, entrambi bolliti. Fra Carboni e Rossi il peggiore era, come sempre, Ligabue, che sembrava Tiger Jack, il “pard” di Tex Willer, dopo aver bevuto troppa “acqua di fuoco” ed aver dimenticato il Viagra. Nek è stato patetico, una versione slavata di un sosia di Gianni Morandi bisnonno che finge di essere Elvis Presley in un bordello messicano. I Nomadi con la loro cover di Lucio Dalla ci hanno fatto ripensare con nostalgia ai momenti peggiori delle trasmissioni in cui lei, gemella cozza, separata dal gemello scemo alla nascita, viene riunita dopo 25 anni di dolore inenarrabile al fratello ed alla mamma che allora era fuggita per manifesta tossicodipendenza – il tutto in una trasmissione di Raffaella Carrà. Insomma abbiamo pianto nel vomito. Dei Modena City Ramblers abbiamo riscoperto che non hanno alcuna sostanza ma sono una fallita coverband di Vandersfros (che a sua volta è la triste copia di qualche band da balera ticinese). I grandi vincitori morali della serata sono stato Carlo Conti ed il marito di Maurizio Costanzo. Il primo perché le sue trasmissioni di bambine in mutande che fanno finta di ricordarsi le melodie di Mogol e Battisti sono perfettamente in linea con i vertici della cosidetta canzone d’autore italiana. La seconda perché il suo programma di avviamento alla prostituzione produce per lo meno bambini che sanno cantare. Dopo il concerto c’era Bruno Vespa con Sabina Ciuffini (la psicovedova di Mike Bongiornooooooo), Edoardo Vianello e qualche altra cariatide che, di fronte al cartamodello (stavolta non c’erano soldi per il plastico) dello Stadio Dall’Ara di Bologna (dove decine di migliaia di lavoratori di call center decerebrati cercava disperatamente di commuoversi al ritmo delle frasi da oratorio di Fabrizio Frizzi), raccontava come eran belli gli anni Sessanta. Come vedete non riesco a dormire. Gaber cantava: si alza in cielo un branco di mucche, che passa sopra lo stadio eeeeeeee plaaaaaaaaaffff. Io credo che questa musichetta plasticizzata che Caterina Caselli da decenni obbliga a rappresentare l’Italia in un’arena vuota da ogni pensiero o pulsione emotiva, debba essere spazzata via da un terremoto, da uno tsunami, dal ridicolo – fate voi, purché facciano spazio a ciò che deve deve deve deve deve venire dopo di loro.

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