La mattina del giorno dopo è come il risveglio dopo il fall-out nucleare. Aria densa di polvere, sole stanco, ocra nel cielo e nel cuore, adrenalina non ancora tramutata in grasso, paura strisciante e infigarda nei tuoi occhi. Fine delle marachelle, ho promesso. Guardo la valle di fronte all’hotel e penso per la prima volta che forse un mondo al di là di quella vista sia veramente possibile. Dopo tutti questi giorni Roma mi sembra un concetto lontano ed irreale. Sono partito sei settimane fa, dapprima per il tour e poi per questa gabbia dorata, mi sembra che non ci sia mai stato null’altro. Devono essere i nuovi medicamenti, ma sembra che gli uccelli volino inconsapevoli là dove fino a stanotte dardeggiavano gli strali della contraerea. Una pace dolorosa. Pippo Baudo se ne è andato, e con lui la tensione e gran parte degli ospiti. Siamo rimasti pochissimi, sparuti, timidi e con grandi occhi a punto interrogativo. Il direttore dell’istituto manca ormai da giorni – nemmeno so dirvi più quanti. Al mio primo trattamento noto che c’è un senso di comune sopravvivenza che ci tiene uniti, ma poco dopo, al telefono, la sceriffa mi da la doccia fredda: costei, che di solito unisce una mise da educanda ottocentesca, scoscese caligolae ai piedi e nulla in mezzo, con l’effetto di sembrare Pippi Calzelunghe senza trecce, oggi ha indossato la tappezzeria di un castello toscano del Trecento. Con la sua voce gentile mi annuncia che per domenica sono sospesi i trattamenti, le terapiste non verranno. Fra coloro che trattano i carcerati il motto è: si salvi chi può. Per questo motivo, dabbasso, nella sala ristorante, la proprietà cerca di resettare in qualche modo il morale. Una coppia con bimbo carino e gentile (non piange mai, anzi squittisce di allegria. Dicono che il meschinello mangi più qui che a casa…) viene premiata con una piccola torta di panna e amarene per il primo anniversario del loro matrimonio. Non sappiamo come reagire all’annuncio. I due si odiano chiaramente e non perdono un’occasione, quando pensano di essere soli, di dirsi “le peggio cose”, come si dice a Roma. In pubblico lui tace guardando a terra desolato, lei tracima dai vestiti con una malinconia postuma ed insaziabile. Nessuno invidia il loro strappo alla dieta: la loro vita, nei prossimi anni, sarà talmente dura che un secondo di dolcezza, l’ultimo, pare anche a noi un balsamo dovuto. Amen. Ma è il digiuno a fare, da sempre, questo effetto. Di colpo in ciascuno di noi ed in chi è costretto a starci intorno si palesa la solitudine imperiosa e terribile dell’assenza di amore. Lurch oggi ha gli occhi ed il sorriso più tristi che abbia mai visto, la sua collega trilla rassegnata per un marito cattivo. Del resto, lo sappiamo fin troppo bene: siamo qui perché fuori nessuno ci aspetta veramente. Una bella ragazza romana di una quarantina d’anni ha finito ieri due settimane di cura. Avevo sempre pensato che se la tirasse al punto di strapparla, invece, pochi minuti prima di andare, con un ghigno di dolore mi ha detto: “Ho sofferto la fame e le violenze psichiche e fisiche, ma rifarei tutto altre cento volte se potessi non tornare in quella casa in cui sono stata abbandonata solo pochi mesi fa”. Dimagrire, rigenerarsi, tutte promesse cattoliche, come quella della remissione dei peccati. Qui non si sconta nulla, né di essere stati colpevoli, né (peggio) di essere stati vittime. Ed infatti: briciole di truciolo bollite in dadini di silicio colorato a forma di piselli e carote; palline di sterco di scarabeo stercorario con pomodoro al pomodoro; mocciolo di lama ed okapi in profumo di limone e mentuccia. A cena: zuppa al ricordo di fagioli e cotiche di scroto di zanzara della palude di Comacchio; interiora di anaconda alla crema di lucciole e lanterne; centrifuga di adrenalina di bue al momento del macello mista a radici bollite di piante carnivore. Mangiamo con rispetto Nessun altro al mondo – credo – è capace di menù di questo tipo. Penso con scoramento al povero Giuseppe Pepe, vittima del PUPU, ed alla violenza del destino. Gli alieni hanno consegnato una nuova macchina. Permette di costringere il corpo umano ad assorbire sostanze aliene senza puntura, per evitare che qualcuno noti una qualche ferita. La cominceranno ad usare da domani. Siamo agnelli sacrificali senza ansia di fuga. Non sarebbe per la vittoria, e forse nemmeno per il pareggio. Ma la macchina non l’hanno portata da fuori. Era già qui, al quarto piano. Scommetto che ieri non mi hanno detto tutto. Eloì, Eloì, lamà sabactàni?

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