– La morte di Gerardo D’Ambrosio chiude in modo tutto italiano una stagione fondamentale della nostra storia: con la morte di tutti i protagonisti e nessuna risposta alle domande angosciose che rimangono aperte. Con D’Ambrosio ci lasciano possibilità importanti di capire l’assassinio dell’anarchico Giuseppe Pinelli, la Strage di Piazza Fontana, l’omicidio di Roberto Calvi e tutte le orrende porcherie legate alle “disavventure” della Banca Privata Italiana di Michele Sindona e del Banco Ambrosiano, le verità negate di “Mani Pulite” (comprese le morti oscure di Gabriele Cagliari e Raul Gardini), i segreti di Massimo D’Alema e dello scandalo Unipol e – peggio ancora – dei rapporti inesplorati fra una corrente dell’ex PCI dopo la sua fusione con la Democrazia Cristiana ed i servizi segreti più o meno deviati. Gerardo D’Ambrosio, che ha sempre avuto l’aura della brava persona e del coscenzioso magistrato, persino nel suo periodo da Parlamentare, se ne va non solo senza dare risposte, ma senza che nessuno abbia mai avuto la voglia di porgliele. In Italia, quando diventi un Santone, sei di colpo al di là della legge e del giudizio storico. Invece di fare chiarezza, noi ci raccontiamo favolette e ci convinciamo che sarebbe meglio se fossero vere – una capacità di rimozione psicologica collettiva che nemmeno in Argentina, e con ciò sia detto tutto. Restano le conseguenze delle sue scelte e delle sue decisioni: su Pinelli, a causa del verdetto da lui inventato di “malore attivo”, non verrà mai detta una parola decisiva di giustizia. Sull’omicidio Calabresi non si saprà mai a quale punto la magistratura, d’accordo con i servizi segreti e gran parte dell’arco costituzionale (allora lo chiamavamo così, i fascisti erano ancora “cattivi”) dei partiti, abbia deciso di inventarsi le bugìe di Marino e condannare Adriano Sofri e compagni. Su Sindona, Calvi e gli altri morti eccellenti non sapremo mai nulla, come resteremo convinti che sia stato possibile che Cagliari e Gardini si siano suicidati. Non capiremo mai perché il pool milanese diede tutto quel potere ad una figura screditata come quella di Antonio Di Pietro (screditata all’interno del Palazzo di Giustizia milanese, dove si conoscevano i suoi legami con Craxi, Pillitteri ed altri personaggi tutt’altro che simpatici della “Milano da bere”) per gestire politicamente l’inchiesta “Mani pulite”, raggiungendo il risultato di sparecchiare una classe politica e consegnare il Paese in mano a Silvio Berlusconi ed i traffichini della finanza, da Colaninno a Tronchetti Provera – ed aver gridato “resistere, resistere, resistere” mi dispiace, non vale nulla. Fà parte del personaggio e della sua leggenda, non della verità. In Italia la verità non interessa a nessuno – almeno apparentemente. Io stesso, nel mio minuscolo, faccio parte di quella storia, e lo feci accecato dal mio narcisismo. Non a caso ho poi lasciato, schifato, il giornalismo. Un paese che non conosce il suo passato non ha futuro. L’Italia, appunto. Scusatemi quindi se per la morte di Gerardo D’Ambrosio non farò parte dei commemoratori.

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