Era più grande di me. Lo sapevo bene, di non avere nessuna possibilità. Non sapevo nemmeno come comportarmi, avevo paura che le sembrassi sciocco ed immaturo (come del resto ero). Per tantissimi anni, poi, è rimasta una piccola pietra sul cuore. Non per il fatto che non le interessassi, ma perché non sapevo nemmeno come fare… Andammo insieme a seguire una lezione di letteratura all’università. Mi ricordo tutto, ero terribilmente intimidito, e poi sconcertato dalla bravura del professore, Walter Binni, in confronto a coloro con cui, fino ad allora, mi ero confrontato. Attraversavo tutta la città per poi passare dieci minuti con lei ed altri, sentendomi inadeguato e stregato. Perché era non solo bellissima, ma intelligente in un modo particolare, senza enfasi, quasi con timidezza. Era sempre sospesa sull’orlo della passione, e non si accorse che in quei giorni io rinunciai a studiare filosofia, ed iniziai segretamente a leggere i classici ed a studiare per poterle un giorno essere alla pari. Non mi ha mai trattato con sufficienza, e mi presentò tantissima gente, che poi per anni mi ha accompagnato, e qualcuno che mi insegnò a suonare la chitarra ed a scrivere testi. Lei mi sorrideva reclinando la testa. E una volta, in una conversazione sulla difficoltà di imparare una scala, mi disse: “fallo alla tua velocità. fai le cose alla tua velocità”. Una frase banale, magari, ma per me significava una gravissima contravvenzione a tutto ciò che mi era stato insegnato. Di questo le sono ancora grato. Dopo un po’ uscii dalla sua vita, perché sapevo che avrei sofferto troppo, il giorno che lei si fosse innamorata, come era giusto. Scrissi una canzone su di lei, che si chiama “L’epoca dei sogni”, e che spiega che, avendo la velocità non sincronizzata, non ci si incontra mai, e che questo va accettato con tristezza, ma non come una sconfitta. Quella canzone l’ho suonata solo una volta, dal palco, dopo aver ricevuto una email di un mio professore di Zurigo, che mi diceva: “bravo Fusi. hai messo a frutto ciò che hai imparato. Leopardi, Landolfi, Buzzati, Botho Strauss. Sono orgoglioso di Lei. Lei è un artista”. Così cantai la canzone da cui tutto era iniziato e la ringraziai ad alta voce, sapendo che non avrebbe mai potuto ascoltarmi. Perché di lei era rimasto il sogno, la proiezione, e non avevo avuto la capacità di restare nella sua vita nonostante tutto. Che peccato. Ora sono passati mille anni, e, leggendone le righe, penso che fui veramente stolto, e che purtroppo tutto ciò accadde troppo presto, non ero in grado di gestire ciò che c’era. Un’amicizia eterna vale cento volte un amore caduco. Sicché la ringrazio ancora, e le dico che l’ho cercata in tante altre persone, senza incontrarla mai, perché è rimasta unica.

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