Primavera del 2011. Sto scendendo i pochi metri fino al crocicchio, e sono le quattro di mattina. Non più buio, non ancora giorno. Lei mi aveva portato ad un bar, nel quale si ubriacavano annoiati oltre un centinaio di sfaccendati. Una baraonda folle. Volume altissimo. Si parla di nulla, l’alcool ed il frastuono cancellano il filo di un discorso eventuale, reso comunque sterile dalla vacuità. Lei voleva incontrare gli amici dopo tanto che non li incontrava. Tempo un quarto d’ora, ed era ciucca pure lei. Quindi sono tornato a casa. Schiumando scioccamente di rabbia. Alle quattro, come detto, ne ho abbastanza. Ho preparato la mia borsa e sono uscito per tornare a casa mia, in Toscana. Cretino che non sono altro. Questo tipo di donna considera un rapporto di coppia: a) una dolorosa prigionia; b) una rinuncia a possibili sliding doors; c) l’impressione (come i bimbi) che altrove accadano cose straordinarie cui non potranno prendere parte; d) la rinuncia alla superficialità (quella che loro chiamano “pesantezza”); e) la paura di perdere il treno della vanità – ovvero di perdere gli ultimi minuti della vita in cui qualunque maschio vorrebbe impalarla urlando. Questo tipo di donna ha ragione. Con lei si può vivere solo a patto di accettare che vada a letto (o sbaciucchi) con altri, che sostenga lunghissime discussioni per convincerti della sua opinione, ma che non sia minimamente interessata alla tua. Questo in negativo. In positivo: non vuole avere a che fare con bambocci, ed ha ragione, il che la costringe a cambiare continuamente partner, dato che il nostro Paese è popolato solo da vecchi o bambocci. Me compreso. Arrivato al crocicchio, mi sono reso conto di non sapere più dove stessi andando, e perché. Cretino come sono, non stavo andando via per star meglio, ma per cercare di far star peggio lei. Ahahah, una cosa impossibile, ovviamente – e giustamente. Mi coglie quindi la sensazione di essere stupido, la vergogna della mia debolezza. Quattro possibilità, tutte equivalenti. Nel momento in cui rinuncio alla cazzonaggine da mimosa abbandonata, non so che fare. Non esiste un posto (o un motivo) cui tornare, o verso il quale dirigersi. Le strade di fronte a noi, comprese le sliding doors, non hanno un senso, glielo diiamo noi, ed è bene così. Se noi non abbiamo un senso, tutto vale zero, o mille, a piacere. L’equivalenza e l’indifferenza sono la vera gabbia, naturalmente. Lei è arrivata in quel momento. Talmente intronata dal vino da riconoscermi a stento. Al di là dei suoi occhi vitrei non c’era nessuno, come sempre. Ma una donna non è una direzione, cui puoi dare un senso, anche se spesso a lei piacerebbe. Una donna è una donna. Ricordo benissimo ciò che feci, e me ne vergogno. Oggi, in quella situazione, non mi ci troverei più. In una storia analoga, non appena visti i prodromi di questo vuoto desertico, ho fatto un passo indietro. Certo, avete capito bene. Ho trovato una strada che non finisce a quel crocicchio e cui posso dare un senso. Alla faccia di Francesco Guccini e delle sue meravigliose e pericolose canzoni di Notte, alla faccia delle ragazze affascinanti, per le quali oramai sono troppo vecchio. Caspita, ce ne è voluto di tempo… accidenti a me ed al mio capoccione granitico…

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