Nelle ultime settimane quattro persone che conosco, appartenenti a diversissimi giri di conoscenze, mi hanno detto la stessa cosa: gli italiani che vanno a vivere all’estero sono dei vigliacchi. Dovrebbero restare qui e battersi per un’Italia migliore, invece di accettare la sconfitta dell’emigrazione. Prima considerazione: il fatto che da tre anni a questa parte i dati sugli italiani che abbandonano il proprio Paese o alla ricerca di lavoro o alla ricerca di un luogo in cui passare la pensione vivendo meglio stia salendo vertiginosamente finalmente viene percepito anche da chi non si occupa di politica e di questioni sociali. Secondo i dati dell’AIRE (Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero) i nostri connazionali espatriati sono stati 120mila nel 2011, più di 200mila nel 2012, 385mila nel 2013 e oltre 700mila nel 2014 (per gli ultimi anni sono dati non ancora ufficiali), quindi quasi due italiani su 50 nell’ultimo quinquennio. Ma il Ministero dell’Interno avverte: questi dati sono indicativi, perché almeno la metà di chi se ne è andato resta residente in patria e non si iscrive all’AIRE. Insomma perdiamo 1 milione di abitanti all’anno (bisogna calcolare anche il saldo negativo nascite/decessi), solo parzialmente sostituiti dagli stranieri che vengono in Italia, che sono meno della metà dei partenti, clandestini o no. Non starò qui a dirvi che chi lascia l’Italia difficilmente ci ritorna, non perché sostiene posizioni filosofiche antipatriottiche, ma perché ovunque vada trova una vita più serena, servizi funzionanti, più soldi, una prospettiva di avanzamento sociale, ed una cultura più viva e coinvolgente. Un dato in più: l’istruzione, in Italia, crea due mondi distanti: da un lato il 60% dei giovani che soffre di analfabetismo funzionale, dall’altra una generazione sveglia, aperta, estremamente preparata, che giustamente considera l’Europa come un paesotto in cui ci si muove liberamente, senza paure né vincoli, sentendosi cittadino ovunque. Sotto sotto, questo lo sanno anche coloro che, spinti dal terrore, ripetono il mantra della vigliaccheria dei partenti. Sanno che loro non ce la farebbero ad andarsene, che sono già terrorizzati dall’idea di traslocare da Roma a Milano, che considerano l’estero come Marte o Saturno (o uno zoo safari che va attraversato al riparo di mezzi cingolati). Vi dirò invece cosa accomuna queste quattro persone, così diverse tra loro, che dicono la stessa cosa: hanno un posto di lavoro o una pensione sufficiente per vivere bene e sono certi che questa condizione non cambierà. Non rischiano nulla. Dicono che anche gli altri devono battersi per avere posti di lavoro simili, che se ce l’hanno fatta loro possono farcela tutti. Il che è completamente falso – anche perché costoro sono (tutti) in posti di lavoro in cui consumano plusvalore e non ne producono, nemmeno indirettamente, e quindi costano alla comunità molto di più di quanto generino. Un giochetto che, oggi, non viene (quasi) più giocato. Su una cosa hanno ragione: in Italia ci sono moltissimi posti di lavoro disponibili, ma pagati davvero male, in mestieri che nessuno vuole fare, senza garanzia, certi di non avere nessuna possibilità di miglioramento. Oppure “gravati” da enorme senso di responsabilità, che è proprio ciò che la maggioranza degli italiani sedentari teme, più della povertà, della violenza o delle malattie. I fatti non li scalfiscono, anche se sanno benissimo che fare il meccanico a Roma ti “regala” 700 Euro al mese in nero, mentre lo stesso lavoro fatto non solo a Londra, Parigi o Berlino, ma anche in Estonia, in Polonia, in Marocco, negli Emirati Arabi, in Canada o in Indonesia ti fa guadagnare il doppio o il triplo, con tutti i contributi versati. E sai che mentre fai quel lavoro puoi continuare a studiare e trovarti qualcosa di meglio. I fautori dell’Italia come gabbia proiettano sull’estero il loro razzismo implicito. Uno di loro, ieri sera, diceva che ognuno deve restare a casa sua, che la globalizzazione e soprattutto la creazione dell’Unione Europea hanno “violentato” il nostro bisogno di non muoversi MAI dal quartiere in cui si è nati, se non visitando un villaggio vacanze in un Paese esotico lamentandosi di come “i negri” cucinano gli spaghetti. Cittadini a chilometro zero. Ciò che costoro non sanno, è che fuori dall’Italia, quando ti presenti, generalmente chi ti sta di fronte non pensa di te “ecco un altro di questi negri schifosi”, ma pensa “ecco il tecnico di computer che, venendo da fuori, è forse più bravo dei miei e guadagna il 10% in meno”. Nella stragrande maggioranza dei Paesi dell’UE, per tutti coloro che sono coinvolti nei processi produttivi, l’essere umano è forza lavoro, e non etnia. Vedere il mondo, imparare altre lingue, capire modi di vivere diversi dal nostro, non è una sconfitta, ma un dono immenso che oggi, solo per il fatto che casualmente siamo nati all’interno dei confini dell’Unione Europea, è a disposizione di tutti. Scrive Francesco De Gregori: “Imparare la lingua degli altri è imparare ad amare”. Verissimo. Ma anche imparare a vivere, a lavorare, a trovare soluzioni autonome. Gli italiani all’estero fanno carriera persino nella politica, basti guardare Elio Di Rupo: abruzzese, figlio di minatori, rimasto orfano ad un anno, omosessuale. Da noi avrebbe lottato per fare il cameriere sulla costa pescarese. In Belgio si è laureato in chimica con una borsa di studio, poi ha trovato lavoro ed ha fatto il dottorato a Leeds, ed ha fatto carriera: è diventato primo ministro ed è oggi il capo dei socialisti belgi. Da noi avrebbe rischiato di morire ammazzato davanti ad una discoteca durante la movida estiva. A chi ha paura ed invidia chi se ne va, e reagisce con la stessa violenza che mostra parlando degli immigrati (che sono coloro che ci fanno da badanti, ci puliscono casa e offrendo le loro braccia all’edilizia, all’agricoltura ed ai mestieri manuali, ci permettono di spendere sempre meno per vivere), ricordo che il mondo in cui si nascondono è finito, morto, sepolto. Sono dei dinosauri scomodi, perché si lamentano e strillacchiano, pretendendo di difendere dei privilegi acquisiti solo per il fatto di essere nati a Mondovì, Poggio Mirteto, Sulmona o San Papocchio della Valle del Cucchio. Costano un sacco di soldi e forse ricattano i loro figli che smaniano per partire e, ovviamente spaventati, avrebbero bisogno di un’affettuosa spintarella, come quella che la mamma dei gattini dà ai figli quando sono pronti ad andare liberi per il mondo. La difesa dei loro privilegi è una delle cause maggiori dell’emigrazione – ma come al solito, qui in Italia, la responsabilità è sempre altrui e tutti noi, invece di informarci per capire e sapere, leggiamo “Libero”, parliamo per parlare, siamo superstiziosi e crediamo, democristianamente, che non facendo nulla tutto si risolverà da sé.

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