Da due giorni ascolto, da un’amica che non vedevo da anni, una storia terribile e banale, come tutte quelle proprie delle persone che hanno buttato via tre quarti della loro vita, ed ora si battono per buttarne via il resto. Lo dico con mestizia, perché anch’io ho fatto così e non sono capace di guarire, anzi. Ad ogni curva persevero nei miei errori, nelle mie dinamiche. Come il giocatore d’azzardo, che continua a mettere monetine nella stessa macchina che mai, in miliardi di anni, gli ha mai restituito seppure la millesima parte di quanto già sperperato, ed ogni volta si dice di aver imparato il metodo, quando dovrebbe oramai sapere che il metodo non esiste, esiste solo la ferocia meccanica di uno strumento fatto per distruggere, come tutte le proiezioni che abbiamo forzato a sembrare realtà. Ad ogni monetina dice a sé stesso: non posso vincere, oramai ci ho rinunciato, continuo solo per la perfezione del gesto, ed intanto spera che stavolta si accendano tutte le lucine e si apra la cornucopia di una felicità, eterna bugiarda promessa del credo borghese, illusione per placare la libertà possibile e costringerla in gabbie preordinate. Con questo non voglio dire che fosse migliore il tempo in cui si veniva sposati dalle famiglie, il divorzio non esistesse, ed entrambi coniugi fossero giocoforza costretti a diventare amici e complici, per poi viversi gli amorazzi con cui si riempiva il vuoto. Non era meglio, perché era un sistema classista, e risolveva solo apparentemente il problema, perché aveva come obiettivo finale la stabilità. Nel caso che descrivo, oltretutto, le due soluzioni coincidono. Un milione di anni fa lei, studentessa migliore del corso (ed oggi professoressa universitaria), venne incrociata con lui, uomo spaccone, insicuro, guitto, debole, dotato in nulla, senza ambizioni, spaventato, perché le due famiglie ritennero che lui le avrebbe lasciato lo spazio che lei necessitava (come poi è stato) e lui avrebbe trovato una nuova mamma per il resto della vita (come poi è stato). Ma si sposarono perché si erano davvero innamorati l’uno dell’altra. Lei racconta oggi che lui le ha sempre fatto tanta tenerezza, che lui non ha mai nascosto le proprie debolezze, anzi le ha usate spregiudicatamente, una volta che ha scoperto che lei lo voleva proprio per quelle, per non sentirsi più inadeguata e confusa, perché aveva bisogno di avere accanto un uomo di cui avesse l’impressione di essere più forte. Oggi lo sa, ha sbagliato anche questa valutazione: i deboli hanno la forza della disperazione, che è furba, manipolatoria, feroce, focalizzata, pronta a tutto, perché è propria, come scriveva Musil, dell’esemplare più diffuso nel mondo occidentale, cui viene permesso a perdonato tutto, perché è amato per la sua inferiorità. Naturalmente, di fronte a tutte le prove vere della vita, lei è stata sola come un cane. Ha cercato appoggio da amiche ed amici, ha ottenuto ricatti, oppure un consiglio per lei inaccettabile: mollalo e cercatene uno vero, invece di uno finto. Ancora oggi, tre anni dopo averlo lasciato, lei lotta per restarci insieme senza conviverci, ed a lui sta bene così. Dopo i 50 anni i maschi possono accettare che mamma lasci la casa, a patto che sia sempre pronta ad accorrere. Il prezzo è un figlio amato e coccolato da entrambi, che non si percepisce se non facendosi del male, che non ha ambizioni, passioni, gusti, ma solo noia e voglia di punire i genitori per una colpa che non sa nemmeno nominare, e che non è mai stato addestrato ad affrontare nulla, perché tutto era risolto prima ancora che lui percepisse il pericolo. Anzi, ora che si è fatto bocciare tre volte di fila, è contento, perché ha lanciato a mamma e papà una sfida nuova e finora intentata: come risolvere la vita del rampollo, quando lui ne ha oramai irrimediabilmente rovinata una parte importante? Non ho consigli da dare, non sono saggio abbastanza, conosco entrambi troppo bene. Quando ci si accorda sul fingere che la proiezione sia realtà, ciò che si costruisce insieme è una macchina di morte che travolge, con le sue ferree logiche di equilibrio e moralismo interno, i partecipanti, e chiunque entri in contatto con loro: figli, spasimanti, carriera, salute. Eppure mi viene da pensare che oramai sia andata, che non ci sia più nulla da consigliare, che la partita verrà data persa a tavolino, come quasi sempre accade. Se si sceglie di sfidare la realtà in nome di una proiezione, e si è tignosi, la punizione sarà sempre terribile. Per questo vi dico: l’unica fase stabile è l’infelicità. L’unica dinamica eterna è il rifiuto superstizioso ed infantile di ciò che ci farebbe bene. L’unica salvezza (che nessuno mai accetta) è rifiutare severamente tutte le proiezioni. Tutto il resto si risolve facendo sesso, o facendoselo fare, o illudendosi che una gradazione maggiore o minore di sesso possa cancellare la distanza che ognuno ha da sé stesso.

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