Quando è nata la musica beat, questa era quasi esclusivamente una musica di chitarre elettriche. Derivava da un modo di suonare che era stato forgiato da eroi del rock’n’roll come Chuck Berry e Buddy Holly, alla fine degli anni 50, e che inizialmente, in Inghilterra, venne chiamato Merseybeat, perché i complessini che lo suonavano venivano da quella parte “operaia” dell’estuario di Liverpool e si esibivano al famosissimo Cavern Club, dove lo chiamavano skiffle (Beatles, Gerry & the Pacemakers, Searchers, Archies etc.). La musica beat arrivò come uno schianto su un panorama in cui regnavano il soul, il blues, il rhythm & blues, il surf – band come i Beach Boys, i Bee Gees, i Moody Blues, gli Animals ed i Rolling Stones, e portò un’onda nuovissima, cavalcata dai Beatles, il cui ulteriore sviluppo (Troggs e Kinks) sarebbe stato il preludio al punk. Ma il beat non è mai morto, è confluito nel rock, come dimostra la parabola leggendaria costruita da Mick Ronson e dal suo cantante, David Bowie, negli Spiders of Mars. Nulla sta fermo, ma tutto è interconnesso. In mezzo a questo oceano di chitarre, c’erano tre band dominate dalle tastiere: i Procol Harum (estremamente influenzati dalla musica classica), i Manfred Mann (che venivano dal Sudafrica, ed erano molto influenzati dagli Animals prima e dai Doors poi), e gli Zombies, che esistevano già nel 1959, ed erano guidati da Rod Argent, un ragazzino brufoloso di 15 anni. Se ascoltate i loro inizi, si vede come fossero tecnicamente scarsissimi, e come pretendessero di salvare con i cori ciò che non erano capaci di fare con la mancanza di arrangiamenti. Ma Bruce Epstein non aveva collegato ancora questi gruppetti di liceali con produttori veri, che fossero in grado di scrivere spartiti, e quindi tutto era improvvisato, o – se vi piace – tremendamente e gloriosamente spontaneo. Dieci anni dopo, logicamente, tutto era cambiato. Gli Zombies avevano registrato un album, Odyssey and Oracle, che è una delle pietre miliari del rock mondiale, e Rod era divenuto talmente bravo da diventare l’ispirazione per i grandi come Steve Winwood e Rick Wakeman, ed aver iniziato una carriera come autore di musica da film e come produttore di roba grossa, come The Who, Ringo Starr, Gary Moore, e più tardi Tanita Tikaram, e tutta una folla di cantanti degli anni 80, ma anche i musicals dei Lloyd Webber. Nella sua band suonavano Phil Collins, Russ Ballard, Billy Squier, e tanti altri grandi. L’ho incontrato dopo un concerto a Londra, negli anni 90 – ma non mi è stato presentato, era lì che beveva una birra con dei giornalisti che lo intervistavano ed io, due metri più in là, bevevo coca-cola e ragionavo su quanto fossi stato fortunato a trovarmi lì. Non c’entra nulla, ma io, a Londra, non avevo ancora mai visto piovere, e sì che ci andavo almeno due volte l’anno. Ma non pioveva mai. La mia vita era un acquazzone, e Londra asciutta come il Sahara. Rod raccontava della sua vita, del fatto che quel capolavoro del 1968, “Odyssey and Oracle”, avesse venduto dieci volte più dischi negli anni 80 che quando uscì, perché come “Pet Sounds” dei Beach Boys era troppo avanti e non era stato pompato abbastanza dalla casa discografica. Gli chiedevano se ci fosse rimasto male, rispose che la sua vita era stata talmente piena di felicità, che non gliene era fregato nulla. Aveva abbastanza soldi, i colleghi lo stimavano moltissimo (Wakeman lo considera il migliore pianista rock di sempre), ed aveva Cathy. Cathy era lì, seduta poco lontano, e riempiva un cruciverba su un quotidiano insieme ad un’amica. Lui l’aveva incontrata ad un concerto, nel 1967, ed era impazzito. Per lei aveva arrangiato una canzoncina di un quintetto di colore, Little Anthony & the Imperials, “Going out of my head”, sto uscendo fuori di testa, che ho sempre amato, prima ancora di conoscerne la storia. Erano divenuti una coppia la sera stessa. Sono ancora insieme, oggi, 50 anni dopo, hanno due figli ed alcuni nipoti. Lui raccontava che una volta, negli anni 80, avevano litigato, e si erano separati per una settimana. Ma la rappacificazione non era stata un vortice di sesso, come spesso accade. Si erano incontrati nella sala da thé in cui andavano da anni, spesso, alla fine della giornata, e si erano messi a chiacchierare come facevano già da vent’anni, come non fosse accaduto nulla. Il segreto? Rod disse: “la stima vera, il fatto che ognuno di noi abbia una passione che ha trasformato in un lavoro, in cui ha avuto successo”, e poi la lontananza dal jet-set, i figli, i libri letti insieme, alcune parole inesistenti che avevano costruito negli anni per i figli – insomma tutte cose che conosciamo tutti, e che non siamo mai stati capaci di realizzare, perché ci ostinavamo a tentare di farlo con la persona sbagliata. Pare che Cathy, una mattina, dopo essere stati ad una festa insieme ed aver ecceduto alcoolicamente, gli abbia detto: “Mio Dio, sei così brutto che con te mi sento al sicuro. Se posso svegliarmi ogni mattina accanto a te, nessun demonio mi potrà mai toccare”. Come tutte le cose perfette, la loro vita era ed è semplice, Non perché non ci siano stati dolori e tensioni, ma perché li avevano affrontati a testa alta, senza troppo pathos, con un inguaribile ottimismo dovuto al fatto di essere grati di ciò che avevano, e di essere completamente, anche dopo anni, come disse Rod, due “scemi fuori di testa”. Come dovremmo essere anche noi, specie in questi tempi di immensa pesantezza.

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