Un piacevole pranzo con Massimo De Cristofaro mi porta a ragionare sulla questione fondamentale: esiste una strada per una reale contro-informazione? Per proporre cosa? Con quale spazio? Con quali compagni di strada? Un’appassionata conversazione con Piero Brega mi riporta al punto in cui ero un paio d’anni fa: bisogna fare qualcosa, perché se non lo farà la nostra generazione, prima di morire, non lo farà nessuno. Sono lento, ci ho messo alcuni giorni a rimuginare una reazione. Volere cosa? La felicità? Il benessere per tutti? La piena occupazione? La ripresa? Di chi, e chi ne resta fuori? Queste domande non esistono quasi più. Guardate di cosa si discute oggi: Renzi deve dimettersi e fare il congresso? Raggi deve sparire? Padoan può aumentare le accise? Dobbiamo uscire dall’Euro? Dobbiamo sparare ai migranti? Ebbene, la risposta a queste domande è irrilevante, se non esiste una strategia, un’idea generale, un mondo da realizzare. Non solo l’ideologia non è morta, ma si è trasformata in fideismo superstizioso e religioso, ad essere morto è il pragmatismo. Lo dico a Matteo Renzi. Se tu mi convinci del traguardo, vedrai che sono disposto anche a soffrire per un certo tempo. Ma devo vedere lo striscione dell’arrivo, e crederci. Altrimenti continuerò a credere che ti stai facendo i fatti tuoi e mi stai o usando, o passando sopra col trattore. A Grillo e Salvini è inutile dirlo. Loro non vogliono avere un’idea di società, ma guadagnare consensi dando vento alla rabbia. Se i politici ed i negri spariranno, tutto andrà a posto da sé, dicono. Dopodiché, Zaia in Veneto e Pizzarotti a Parma, liberi da qualunque linea di indirizzo generale, seguono la propria idea personale e, spesso, fanno bene. Su Raggi a Roma, stamattina, non ho nemmeno voglia di fare ironia. Come disse Gaber in un altro contesto, le dichiarazioni invidiose di Berdini ed i titoli erotici di “Libero” mi hanno tolto il gusto di essere incazzato personalmente. Nel corso della vita ho avuto a disposizione tre modelli. Il primo è l’alleanza storica tra DC e PCI, che già molto prima di Renzi avevano una sola offerta comune, solo con un’estetica diversa. Insieme difendevano l’occupazione del potere, insieme riuscirono a tenere l’Italia a galleggiare lontano da Mosca, vicino a Washington, ma anche promotore dell’Unione Europea, e di un’idea della politica industriale in Africa molto più avanzata dei nostri concorrenti – e lo si vede nei rapporti economici e politici che, nei decenni, abbiamo sviluppato con Libia, Senegal, Congo, Mozambico e Nigeria. Questo primo modello è entrato in crisi nel momento in cui la finta contrapposizione interna ha smesso di essere credibile, e da allora tutti cercano disperatamente di tornare, guccinianamente, ad “essere quelli di quei tempi là”. Non funziona, perché la funzione storica degli Stati Nazionali si è esaurita, e nonostante si stia cercando in tutti modi (e con forte tributo di sangue) di ricrearli, i vecchi sistemi non riescono a modificare la realtà della fine del capitalismo speculativo e finanziario. Il secondo modello è quello radicale, che è quello di puntare a singole battaglie, senza una vera visione di insieme, ma modificando alcuni gangli fondamentali della società. Pannella, che era uomo di una destra illuminata e libertaria, aveva visto lungo – ma non abbastanza, perché il suo metodo è stato ripreso, in nuce, da leghisti e grillini. I movimenti di estrema sinistra e di estrema destra, invece, che hanno cercato di imporre una visione di insieme attraverso battaglie su singoli punti, in cui affrontare con la violenza la disattenzione generale o la semplice opposizione della maggioranza della popolazione, ha ottenuto risultati gravemente controproducenti. Il metodo radicale mi ha sempre affascinato, tant’è che mi sono impegnato personalmente nella campagna per gli otto referendum su Roma chiamata “Roma si muove”. Questo modello non funziona più, perché ha bisogna di un avversario forte e stabile, non un serpente guizzante senza una linea vera come il PD. Per giunta, Riccardo Magi ed Emma Bonino, che sono rimasti gli ultimi a fare politica attiva, sono stati messi alla porta, disturbano una maggioranza di dinosauri che controlla Radio Radicale, un appartamento immenso in Via di Torre Argentina, un trademark col quale non si fa più nulla. I radicali, insomma, sono morti. Il terzo è quello del PRI di Ugo La Malfa, prima che venisse ereditato da persone senza una visione di insieme, incapaci di contare e far ragionare, che si fecero travolgere non da Tangentopoli, come credono loro, ma dalla loro incapacità. Il PRI che ricordo con nostalgia era un partito fortemente ideologico, di sinistra filo-occidentale, non comunista, pragmatico, e che pretendeva di dare risposte complessive e funzionali. Non era un partito di santi, ma di canaglie intelligenti che avevano capito che, per salvare sé stessi e gli italiani, bisognasse salvare l’Italia e farla progredire. Il PRI puntava sulla corresponsabilizzazione di OGNI cittadino, uno dei più anziani ci chiamava “cittadini”, non compagni, non camerati, non fratelli. Negli ultimi anni Fermare il Declino aveva tentato di ricostruire quello spirito, ma è riuscito solo a creare le malattie terminali che hanno cancellato quel partito: una litigiosità parossistica, una dose incontrollabile di millanteria, una disponibilità di vendersi inaccettabile. Il fatto è che organizzare un’idea e trasformarla in partito o in movimento necessita di investimenti di decine di miliardi. Non si parte dal basso. Dal basso possono nascere solo moti di piazza o, peggio ancora, rassegnazione. La fine dei partiti classici ha cancellato, nella consapevolezza della gente, il ricordo di come si discuta produttivamente e costruttivamente. Oggi si litiga, non si parla più. Peggio: i cittadini quasi non esistono più. La gente rifiuta la corresponsabilizzazione, rifiuta la complessità, cerca delle figure genitoriali che risolvano problemi, non importa come, ma senza coinvolgere l’eterna adolescenza nella quale vive la popolazione, non solo in Italia. A ciò si aggiunge che i metodi classici per la diffusione delle idee sono collassati, travolti dai social networks. Dunque? Siamo stanchi, soli. Malati. Tutto appare senza consistenza, senza radici, senza direzione. La ridicola tragedia di Fermare il Declino ci ha tolto molte speranze, il suicidio dei radicali l’ultimo punto di riferimento. Dovremmo anche noi infiltrare i Grillini? Andare nelle sedi locali del PD e batterci dal basso? Credere in quei vitelloni disorientati e buzziconi dei nostri figli? Quelli che abbiamo viziato in modo insopportabile e poi o manteniamo fino alla pensione o abbandoniamo per strada come i cani quando si va in vacanza? Mentre ragioniamo, il tempo passa, velocissimo. Quanto tempo ho ancora a disposizione? Dieci, quindici anni? Non è meglio ritirarsi in campagna e mandare tutto affanculo? Aspettare Godot? Credo di no. Credo sia giusto scegliersi un pezzo piccolo di realtà, ritagliandolo seguendo la traccia delle nostre forze. Roma è troppo, troppo grande. Andare a Gavorrano era stata una scelta giusta, ora Abano Terme è una nuova speranza. E nel frattempo trovare una quiete interna, accettare l’inevitabile e l’inevitato. Giorgio, ora sono pronto ad annuire: la mia generazione ha perso. Ma io sono ancora vivo, anche se triste ed ammaccato. E così siete voi. Datemi un po’ di tempo, e sarò più preciso.

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