– Ed alla fine sono riuscito ad andare a vedere “Primi passi sulla Luna” di Andrea Cosentino e ne sono uscito più innamorato che mai e con la certezza del fatto che Andrea sia uno dei più grandi artisti in circolazione nell’area che io sia in grado di seguire. Capisco perché molti mi avessero detto che questo spettacolo fosse la summa di molti altri dei suoi topoi: c’era un po’ di Telemomò (scimmie e tapiri, Barbie spaziali), un po’ dell’Asino all’Asinara (il Mammarella da Viterbo, l’Abruzzese, il Milanese etc), un po’ di “Non ora non qui” (“questo è un non spettacolo” etc etc etc). Ma c’era in mezzo la storia della piccola Daria, partendo dalle deliziose scarpine da tennis e continuando con la parte più dura del racconto: la paura della malattia, la corsa, il silenzio. Esattamente in questo punto Andrea Cosentino raggiunge un traguardo incredibile. Avrebbe potuto fare del pathos, di fare burletta, di usare la forza dei fatti in se. Invece punta tutti su due momenti contraddittori e veridici: la felicità perfetta del momento in cui la famiglia intera (dai bisnonni ai genitori), resasi conto della malattia, ha preso le decisioni necessarie ed ora, sedendo intorno ad un tavolo, esprime il massimo dell’energia sinergica di ciò che una famiglia dovrebbe essere: potenza e consolazione, calma ed imperturbabilità. Sapendo poi del momento difficilissimo che Andrea ed il suo Papà stanno passando, avevo i brividi addosso. Per contro, nel momento in cui i medici annunciano che la bimba è sanissima, Andrea descrive la delusione – una delusione che conosciamo noi tutti, ma che è ovviamente un tabù impronunciabile. Ed in quel momento ci si chiede: perché abbiamo tanto bisogni di tragedie vere ed incontrovertibili? Di dolori insopportabili, di paure stravolgenti? Andrea Cosentino dissemina tutto il suo lavoro di indizi: “prima che nascesse credevo che avremmo giocato, che le avrei raccontato, invece ora non vedo l’ora che si addormenti, sono sempre stanco”. Non vi tedio: abbiamo bisogno di sentirci vivi e di sentirci parte di qualcosa più grande. In un mondo in cui la famiglia ha perso senso senza perderlo affatto (Gaber: “il loro amore moriva come quello di tutti, non per una cosa astratta come la famiglia, ma per una cosa vera come la famiglia”), il dolore ci accomuna, la paura della morte ci fà sentire vivi. Andrea Cosentino, che più tardi mi dice che vorrebbe a volte essere parte di un circo errante in cui tutte le arti dello spettacolo potessero coincidere e convivere in uno spettacolo solo, ora in “Primi passi sulla Luna” trasforma il vecchio clown, il vecchio giullare di corte, il vecchio cantastorie, nel nuovo uomo che dice la verità scherzando. No no niente satira: intelligenza, dolore, paura, amore, senso del ridicolo, empatia… un gigante. Quando applaudo, saluto non solo il grande artista e l’uomo, ma la parte buona di una generazione, che avevo sbadatamente e pigramente accusato di non essere in grado di trovare un possibile erede del lavoro di Giorgio Gaber – Andrea Cosentino, appunto. Da Chieti, dalla Luna, dal centro del nostro cuore, che si trova nel pieno tumulto del nostro cervello.

Lascia un commento