Se avete amato la trilogia Millennium di Stieg Larsson, non comprate “Quello che non uccide” di David Lagercrantz. L’autore, divenuto famoso con la biografia del calciatore Zlatan Ibrahimovic, ha ottenuto il permesso di usare i personaggi di Stieg Larsson dal padre e dal fratello dello scrittore scomparso dieci anni fa. L’ha fatto usando materiale proprio, e non gli appunti di Larsson, che stava preparando i volumi dal 4 al 6 dei suoi thriller, perché quegli appunti sono e restano in mano di Eva Gabrielsson, che è stata la sua compagna per 32 anni. Lagercrantz ha così scritto un thriller mediocre, con alcuni topoi propri di Larsson (la figura del giovane giornalista Andrei, che viene massacrato dalla Regina di tutte le Cattive, Camilla Salander, sorella di Lisbeth, ma nacora di più la figura del giovanissimo August, vittima designata del romanzo ed infine salvato da Lisbeth, che da autistico scopre le chiavi che racchiudono i segreti più orribili della NSA, l’ente di spionaggio estero degli Stati Uniti). Ma non ha capito fino in fondo il lavoro di Larsson, oppure ha scritto semplicemente ciò che gli era più congeniale, ed allora eccolo scrivere un libretto che si può mettere in fila con i thriller ed i gialli di Henning Maskell o Frank Schätzing – ma del primo non ha la profondità psicologica, del secondo non ha la precisione storica, geografica, sociologica ed economica. Larsson, comunista convinto, giornalista che si sentiva sconfitto dall’evoluzione dei media dopo la fine della Guerra Fredda, voleva rinverdire l’opera di Per Wahlöö e Maj Sjówall. Costoro, tra il 1965 ed il 1975, scrissero dieci romanzi rimasti ineguagliati che, fingendo di essere dei polizieschi, diventano dei simboli di critica profonda e feroce della finta libertà, umanità, tolleranza e giustizia della società svedese, mostrando la brutalità cieca, la sopraffazione, la violenza in famiglia, l’umiliazione delle donne e dei diversi, l’ignoranza e il fascismo strisciante che dominavano nella Svezia di quel tempo. I due maestri avevano insegnato al mondo che in una realtà dominata dall’informazione drogata e dalla repressione culturale, l’unico modo per descrivere la realtà è scrivere dei romanzi. E questo fece Stieg Larsson, parlando di una società ancora più violenta di quella di Wahlöö e Sjówall, ancora più disperata, per giunta incastrata in un mondo globalizzato ancora più mostruoso di quello che, 50 anni prima, venne creduto un residuo del nazionalsocialismo svedese che, prima o poi, sarebbe scomparso, sconfitto dalla storia. Nei tre libri scritti da Larsson, usando Kalle Blomqvist, Erika Berger e Lisbeth Salander, si parla della commistione di interessi tra l’estremismo di destra svedese e l’industria nazionale; della commistione di interessi tra la politica nazionale e la criminalità russa; del retroterra culturale che portò all’omicidio di Olof Palme, il primo ministro ammazzato il 28 febbraio del 1986 da chi non voleva una Svezia contro la guerra, contro il nucleare, contro l’apartheid. Un uomo che, da Stoccolma, parlava dei legami finanziari tra la P2 ed il post-nazismo, degli accordi segreti tra USA ed URSS, e via discorrendo. Ancora oggi l’omicida di Palme non ha un nome, e quindi non si sa nulla dei suuoi mandanti – anche se Pier Paolo Pasolini, anche in questo caso, direbbe che i nomi si sanno benissimo. Ebbene, Stieg Larsson aveva scritto tre libri bellissimi ed intensi sul giornalismo e sulla ricerca storica e politica, che erano solo il prologo al libro che avrebbe detto la sua verità su Olof Palme. Lo scrittore, uomo atletico e giovanile, salutista e tranquillo, è morto ufficialmente d’infarto mentre stava per consegnare il manoscritto per la prima revisione. Senza autopsia, naturalmente. Non sappiamo cosa avrebbe scritto di ulteriormente scottante, dopo essersi cimentato con Olof Palme. Mi gira la testa al solo pensiero che, per Stieg Larsson, una storia così delicata e fondamentale come il più importante omicidio politico della seconda metà del 20° Secolo, insieme a quelli di Salvador Allende e dei fratelli John e Robert Kennedy, e forse quello di Giovanni Paolo 1°, fosse solo il quarto capitolo di dieci testi. Nessuno sa cosa potesse venire dopo, e quindi è inutile speculare. Certamente non i film sulla trilogia, che erano semplicemente brutti filmetti bruce-willisiani. Certamente non il libretto di Lagercrantz. Ad agosto, quando questo libro è uscito, Stieg Larsson è stato ucciso per la seconda volta (scusate, ha avuto un secondo infarto), ed a noi resta un capolavoro trasformato in minchiata. Come se di colpo le canzoni di Giorgio Gaber le cantassero Laura Pausini e Checco Zalone. Ma purtroppo l’essere umano è capace di ogni bassezza. Anche questo è già successo.

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