“Finalmente il sole splende, le nuvole blu rotolano via, con le fiamme del drago dell’oscurità, e la luce del sole finalmente acceca gli occhi”. Così finiva il testo di “The Battle of Evermore”, la mia canzone preferita dei Led Zeppelin, registrata 46 anni fa con l’inconfondibile seconda voce di Sandy Denny. Che lei esistesse, l’ho scoperto con quel brano, ma poi lei divenne un’ossessione, come i suoi Fairport Convention. Perché aveva la voce più bella che io abbia mai sentito, e quando cantava “Who knows where the time goes” parlava solo per me, credevo, che mi commuovevo ascoltando “Quanti anni ho” dei Nomadi e, non ancora 18enne, avevo orrore della velocità con cui il tempo scorreva, già allora. Ma Sandy aveva il canto e le armonie di una malinconia eroica, la consapevolezza che non si possa far nulla, ma che sia necessario farlo. Così iniziai a sognare di incontrarla, e di prometterle che, insieme, tutto sarebbe stato ok, che mi sarebbe bastato ascoltarla cantare, esserci, tenerla per mano, e tutto sarebbe cambiato. E nei sogni lei sorrideva triste, come nelle foto delle riviste musicali, e non diceva nulla. Era primavera, la stagione in cui tutte le cose vere finiscono e si spengono, quella della tristezza per antonomasia. Volevo essere eroico come lei, tenevo il suo nome segreto ed impronunciabile, e mi scoprivo debole, vigliacco, bugiardo, perché nascondevo un segreto che non solo non era tale, ma era senza valore. Purtroppo, ho imparato, quasi tutti i maschi fanno lo stesso, e con gli anni si intestardiscono talmente tanto in questa cancrena dell’anima, che non sono più capaci di lasciare la mano di mamma e scoprire che la malinconia non è eroica, è solo malinconica. Sandy imparò questa lezione troppo tardi. Beveva troppo. Trevor Lucas, un musicista australiano straordinario e famoso, ha passato con lei dieci anni di amore e fatica, per tenerla in piedi. Quando lui, nel gennaio del 1978, si era recato in patria per visitare i parenti, Sandy perse completamente il controllo ed in un incidente d’auto quasi ammazzò la figlioletta appena nata. Trevor tornò a Londra, ma non c’era molto da fare, perché per il colpo ricevuto nell’incidente la situazione era peggiorata ed i medici le avevano dato medicine tremende per il mal di testa, che combinate all’alcool l’hanno uccisa in meno di tre mesi. Lessi della sua morte il giorno dopo essere stato lasciato da V., e passai un’intera giornata ad ascoltare i suoi dischi ed autocommiserarmi, finché cominciai a darmi ai nervi, cambiai in Frank Zappa e vissi in barba a tutto. Ma le crisi di malinconia mi hanno sempre accompagnato e sono la base della mia obesità: ed è così che ho scoperto che la malinconia è figlia della pigrizia, della paura, della vigliaccheria e di uno smodato amore per la vita che, restando scemo come sono e fui, mi sfugge tra le dita, come nella canzone di Sandy. Stasera l’hanno messa alla radio, non la ascoltavo più da anni. Sono cambiato, ma meno di quanto vorrei, e sto lentamente invecchiando, ed ho scoperto che vivere è molto più eroico che morire. Questa è per te, dolcissimo Luca Lionello, amico dei giorni più lieti, come quella canzone dello Zecchino d’Oro che Johnny Dorelli trasformò nella grande canzone che ancora chiamo Mamma ed imploro nelle notti di perdizione. Niente eroismo, Sandy. Se mi avessi dato la mano non ti avrei salvata, non sono mai riuscito a salvare nessuno, ma mi hanno salvato degli amori inattesi, di cui è gonfio il mio cuore e piena la mia vita – a partire da quello di tre topolini, uno romano e due svizzeri, che sono la dimostrazione che il meglio debba ancora venire. Peccato che Sandy non lo sapesse, e la sua voce incredibile sia andata perduta, come il tempo che ciascuno di noi ha sprecato.

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