Siamo all’alba dopo la strage. Mentre le strade di Parigi, presidiate dall’Esercito, raccontano di una calma apparente, i politici tentano, in tutto il mondo, di dare la loro spiegazione razionale per le masse. Lo fanno cercando di far passare il messaggio che ad essere attaccata non è stata la Francia, ma “il mondo intero”, come scrivono Barak Obama ed una nota del Vaticano. Credo di essere d’accordo con loro, anche se sono purtroppo certo del fatto che le conclusioni che trarranno dalla loro stessa propaganda andranno nella direzione opposta al buon senso. In ogni caso lasceranno noi, la gente, orfana di alcune considerazioni fondamentali, di cui abbiamo subito bisogno, bimbi che siamo, per spiegarci l’orrore avvenuto e quello che, presumibilmente, verrà ancora. Il massacro di Parigi dimostra che oramai chiunque, su questo Pianeta, ha imparato la lezione impartita dagli Americani e dai Russi dopo i disastri del Vietnam e dell’Afghanistan. Fino al 1973, infatti, le guerre sono state un’ecatombe che coinvolgeva l’intera popolazione. Gli eserciti, metro dopo metro, conquistavano e perdevano territori, distruggendo ciò che incontravano sulla propria strada. Sia i soldati, sia i civili, sentivano di appartenere all’una o all’altra fazione. Grazie a questo sentimento, finita la guerra, la gente si rimboccava le maniche e ricostruiva. Chi comandava aveva bisogno di questa adesione, proprio perché le guerre erano appunto conquiste territoriali. Poi, con il dispiegamento dei missili sovietici a Cuba e di quelli americano in Sicilia, le cose hanno iniziato a cambiare: in teoria l’appartenenza si era allargata e quindi diluita – due blocchi pronti ad annientarsi reciprocamente. In pratica, in ogni luogo, le guerre hanno impegnato sempre meno persone e sono state sempre meno collegate ad un territorio. La battaglia per l’Iraq, da oltre un quarto di secolo, non riguarda il popolo o il territorio iracheno. Che vivano come possano. Ci interessano solo i pozzi di petrolio di Mosul, il resto è inutile, costa soldi e fatica. Mentre da un lato la fine del capitalismo industriale ha provocato la trasformazione dei cittadini in consumatori, e la crisi irreversibile del post-capitalismo finanziario li ha poi trasformati in spettatori con il televoto, dall’altro la fine del nazionalismo bismarckiano rende la popolazione superflua, utile solo come ostaggio. Non esistono più eserciti di popolo, ma truppe di professionisti. Non esistono più popoli, ma pupazzi di videogames violenti. Non lo dico con nostalgismo moralista: le cose dovevano andare così, perché il modello capitalista e quello bismarckiano erano entrambi fondati su errori e su menzogne. Solo Israele e Palestina, oggi, vivono ancora l’esperienza della corrispondenza totale tra popolazione e belligeranti. Gli Americani mandano dei droni ad uccidere in Iraq, la jihad islamica manda 20 soldati pronti a morire fino a Parigi. L’orrore è lo stesso, ma la sua percezione è molto più grande qui da noi, perche credevamo che il grande videogame della guerra si giocasse altrove. Difatti la gente è convinta che, se scacciassimo gli stranieri, la guerra tornerebbe ad essere un safari per pochi in Paesi dal nome astruso, lontani. Oggi, invece, con un esercito ben attrezzato di un migliaio di persone ben motivate, si possono mettere a ferro e fuoco tutte le capitali dell’Unione Europea contemporaneamente, ottenendo risultati straordinari con pochissime perdite, senza mai mettere in pericolo le proprie retrovie, senza aver bisogno di spostare un esercito, senza organizzazioni immense che debbano garantire l’approvvigionamento di carburante, cibo e medicine al fronte. Il fronte si sposta di migliaia di chilometri in poche ore, e l’obiettivo non è controllare le strade di Parigi, ma terrorizzare i telespettatori col televoto locale, di modo da spezzare il delicatissimo filo che, ormai solo propagandisticamente, unisce popolo ad esercito ed a leadership nazionali. La gente, infatti, non reagisce solo con il razzismo, espressione della paura irriflessiva, ma con domande a cui nessuno vuol rispondere: esistono interessi convergenti tra fazioni contrapposte? Chi arma i jihadisti, se non noi? Chi compra loro il petrolio, se non noi? Da dove vengono, se non dalle nostre città? Perché trovano adesione tra i popoli poveri, se non per colpa nostra? Dove verranno coloro che scappano dalla loro brutalità, se non da noi?Obama e Papa Francesco lo dicono: oramai siamo un popolo solo, un unico gregge. Una parte di questo gregge ha avuto a disposizione 70 anni di pace, ma questo tempo è finito. Ma ora i suoi abitanti non hanno voglia di lasciarsi coinvolgere, non hanno nessun motivo di andare in guerra, non aderiscono a nulla – e sono deboli e spaventati, come lo sono io da tempo. Che fare? Nessuno può proteggerci. Ammazzare a bastonate un clandestino o due servirà solo per far alleare i clandestini tra loro. Votare a destra (Renzi, Berlusconi, Grillo, Salvini, Vendola) servirà solo a lasciarci nella situazione assurda in cui siamo adesso – senza difesa, senza patria, senza direzione, senza comprensione, senza spiegazione. Una signora per strada mi dice istericamente: “ Ma che vonno sti stronzi? E che so cristiana io? A me der papa m’arimbarza assai, a me mme frega solo de li fiji mia, tutti l’antri ponno annà affà n’culo, io nun c’entro gnente”. Le ho risposto di no, signora, lei non verrà uccisa perché cristiana, ma perché è irrilevante, come me. Finito l’illuminismo, abortita la democrazia, franato il capitalismo, dissolta l’utopia bismarckiana, siamo solo pupazzi di un videogame. Oppure, come diceva Gaber, l’ultimo uomo su questa terra: “Io, se fossi Dio, mi ritirerei in campagna, come ho fatto io”.

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