Appena nati, abbiamo difficoltà a stabilire qualsiasi limite. Il bisogno ci strazia, non sappiamo nulla. Finché, con l’aiuto di mamma e papà, scopriamo che esiste un “io” ed un “non io”, e ci viene detto che “non io” è il sistema di soddisfazione automatica dei nostri bisogni. Se abbiamo fortuna, usciamo da questa fase, perché i nostri genitori ci mostrano dei limiti di tolleranza, oltre i quali si rifiutano di servirci, e ci mostrano che “non io” è anche un “io”, ed ha i propri, di bisogni, per la cui realizzazione si batte da una posizione di assoluta forza – per noi. Ci insegnano a fare da soli la maggior parte delle cose. Se abbiamo fortuna, riescono a farci capire che essere autonomi sia un premio, non una punizione, perché ci mette in condizione di decidere autonomamente cosa fare, e ci permette di dire no – e ci insegna ad accettare il prezzo dei sì e dei no, e se abbiamo fortuna, a capire in quali occasioni sia meglio l’uno o l’altro. Purtroppo non più della metà delle persone arriva a questo stadio di evoluzione. Percentuale molto maggiore nelle ragazze, oltretutto. Se abbiamo un culo sfrontato, dopo aver lottato con ogni possibile intrigo per ripristinare la situazione in cui “non io” era al servizio di “io”, ed abbiamo scoperto che esistono miliardi di esseri uguali a noi che, se lasciati fare, ci cancellano o comunque ci fanno malissimo e ci prendono e distruggono ogni cosa, impariamo che, oltre ad “io” e “non io”, esiste un “noi”, che ha esigenze e regole severissime, che impediscono che ci si faccia del male e ci insegnano a capire e rispettare i bisogni altrui. Purtroppo solo la metà di coloro che avevano fatto il primo passo riesce a compiere il secondo. Anche in questo caso, le ragazze battono i ragazzi 9 a 1. Se siamo nati per vincere la lotteria di Capodanno, allora impariamo che esiste un affetto, che purtroppo ha quasi gli stessi sintomi del bisogno sessuale, di quello manipolativo e di quello possessivo, che può costruire un ponte tra diversi “io” e creare un “noi” speciale e resistentissimo, capace di risolvere problemi che “io” nemmeno affrontava. Ma la proiezione di noi stessi e dei nostri bisogno infantili è un fiume in piena, torna ad ogni monsone, e bisogna imparare a dominarlo. Purtroppo solo la metà di coloro che avevano fatto il alto precedente arriva fin qui, ed a volte, arrivatoci, sceglie di tornare indietro. Troppa fatica. Dopodiché ci sono gli Unti del Signore. Ovvero coloro che scoprono di aver creato un Dio, ovvero un “io” proiettato, che ci detta delle regole e ci aiuta in situazioni complesse, dandoci dei consigli. il 94% della popolazione, che non è arrivato fino a questo punto dello sviluppo personale, considera la religione come un sistema punitivo e superstizioso, una Polizia del Nonsisamai, un vendicatore comune delle nostre debolezze, perché opprime, se usato ecclesialmente, coloro che noi non siamo in grado di opprimere con la forza bruta, con l’intrigo e con la predominanza sociale. Ma i Beati non hanno bisogno di questo, seguono questo “io” parallelo perché ne riconoscono l’indipendenza dai bisogni e, quindi, la superiorità. Gesù, punto di riferimento di questo “io” parallelo, è giunto al punto di farsi torturare ed uccidere per salvare noi. E tanti, nella storia, hanno preso decisioni simili: sono morti per salvarne tanti. Credevo di essere vicino alla cruna dell’ago, ero lì che mi guardavo intorno alla ricerca del cammello, quando mi sono accorto del fatto che la vera forza di quel “dio” è la totale indipendenza da “io”, da “noi”, da tutto ciò che mi angoscia, mi sporca, mi opprime, mi frustra, mi ingelosisce, mi indigna, mi addolora. Questa entità estrema, che accetta anche la mia morte come un avvenimento sereno ed irrimediabile, non promette nulla, perché esiste al di fuori di me. Non posso dimostrarne l’esistenza, se non dimostrando che non possa non esistere, ma è indifferente al bisogno e, quindi, è una forza che non aiuta e non impedisce, ma ha un ritmo. Stando in quel ritmo, alcune cose riescono meglio, ma perché le faccio meglio io. Non temete, non compro santini di Osho, non vado in india, non seguo religioni, che sono il contrario di questa forza – ovvero il tentativo di pervertirla a forza utilizzabile per i bisogni. Ma adesso che credo di averne capiti i contorni, mi sento davvero più sereno. Gli indiani dicevano, quando erano arrivati, che quello fosse un buon giorno per morire. Io non ce la farò, perché la paura mi mangia, e la mia intelligenza è debole di fronte alla mia follia ed ai miei bisogni. Ma già davo sopportare la fine della civiltà, che incombe. Un passo alla volta. Devo ancora capire che Azazel non sia un ente o un luogo, ma la mia parte oscura. Ci devo parlare, con franchezza. Se riesco, vi saprò dire.

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