Mentre noi siamo distratti da altro, Padoan e Calenda stanno cercando di portare fino in fondo il progetto di distruzione dell’economia italiana che era di Mario Monti, il cui obiettivo è di mettere l’immensa forza del risparmio della cittadinanza italiana a disposizione di banche assetate di denaro vero, e di industrie ed imprese commerciali che vogliono vendere i loro prodotti a qualunque costo. Non si capisce? Un briciolo di pazienza. L’Italia ha un debito pubblico immenso, oltre 2mila miliardi di Euro, oltre il 130% del PIL. Una cifra che fa paura, giustamente. Ma di fronte a questo debito esiste un risparmio privato che ha superato già da due anni i 4mila miliardi di Euro. Questo significa che il nostro debito è stragarantito, e se le agenzie internazionali ci abbassano il rating, è perché perseguono una linea politica e sanno che noi, di fronte a giudizi che vengono dall’estero, ci mettiamo subito paura. Vuol dire che dobbiamo stare tranquilli? Nient’affatto. Lo Stato deve tantissimi soldi, la maggior parte dei quali ai propri cittadini, e deve pagarli. Per andare avanti prende dei crediti e vende obbligazioni – quindi contrae ulteriori debiti, per i quali paga tassi di interesse drammatici. Ma finché il risparmio privato sta dove sta, l’Italia non va in bancarotta. Che fare? Padoan, Calenda e Monti, seguendo Bruxelles, Londra e Washington, dicono: vendete gli immobili pubblici che non usate (sono d’accordo) e poi gli assets principali: le Poste, Trenitalia, Finmeccanica, e via dicendo. I gioielli di famiglia. Da questi si possono intascare un paio di decine di miliardi, il che fa abbassare il debito. Una bugia colossale e pericolosa, che va spiegata. Lo Stato si finanzia con le tasse, la vendita di titoli ed i dividendi delle proprie aziende. Il boom degli anni 50 e 60 venne finanziato in buona parte così, giocando con i cambi per abbassare i costi dei nostri prodotti all’estero e per pagare più serenamente i debiti contratti con le banche straniere. Sto semplificando, ok? Il resto funzionò perché lo Stato possedeva tutte le banche d’interesse nazionale, e gran parte dell’industria. Con queste forze produceva plusvalore, guadagni e creava introiti fiscali ed occupazione. Ebbene: ancora oggi le partecipazioni dello Stato e della CDP Cassa Depositi e Prestiti garantiscono circa un ottavo degli introiti delle casse dello Stato. Se le vendiamo, perdiamo questi introiti. E non basta. Se la multinazionale XXX, magari inglese, compra le nostre Poste, cosa fa? Chiude i servizi postali in perdita (ma che hanno un fondamentale valore sociale, perché raggiungono ogni cittadino in ogni punto del Paese, non importa quanto piccolo), taglia i contratti meno importanti (che sono i contratti con noi cittadini), usa i nostri soldi come garanzia per indebitarsi all’estero. Trenitalia, invece, se appartiene ad altri taglia i treni locali, ovvio. Entrambe queste aziende sposterebbero la loro holding all’estero, e non pagherebbero più le tasse in Italia. Come è già successo con la FIAT, che è fiscalmente scomparsa dal nostro Paese. In questo modo, l’erario perde (se si vendessero gli ultimi assets rimasti, quelli più ghiotti, ancora in mano allo Stato ed alla CDP) un terzo degli introiti fiscali. In un colpo solo, in una notte ci trasformiamo nella Grecia. Allo stesso tempo, all’interno dell’accordo per proteggere le banche, il Governo incoraggia le banche stesse a mettere sotto torchio coloro che hanno depositi bancari fermi, insomma a punire chi non spende. E la discussione sul prelievo forzoso non è finita, è solo rimandata. Di tutto questo, nel dibattito interno al PD, non sentirete una sola parola – eppure questa è la frontiera su cui si combatte la più grande guerra di trincea. Ed il PD può permettersi di non parlarne, perché tutti gli altri partiti (Cinque Stelle, Fratelli d’Italia, Lega Nord) si occupano di altre cose, aiutando a fuorviare maggiormente la cittadinanza. Per questo io, su quelle cose, su cui litigano loro, non dico mai nulla. Se il PD si divide, dal punto di vista politico, è irrilevante. Si tratta di un esercito di occupazione del potere, non di una forza a disposizione del Paese, e non ho mai creduto che dalla cacca nascessero i fiori. Lo dice De André, che è un grande poeta – non un economista.

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