L’ho scoperto ieri, quasi per caso. Odio l’ombretto. Vi giuro, prima nemmeno sapevo che esistesse, pensavo che quelle orrende porpopraccie, turchesucce, giallette, azzurronze, verdomitevoli distese di colore insulso, poste a gridare l’esistenza degli occhi chiusi, fossero correzioni tardive di errori commessi nel passarsi la matita sull’orlo dei bulbi o il mascara per fingere di avere baffi al posto delle ciglia. Quanto al Rimmel, ovviamente, si tratta del titolo di un meraviglioso disco di Francesco Degregori. La parola l’ha inventata lui. Ieri, però, sono stato costretto a confrontarmi con l’esistenza dell’ombretto. Per gente della mia generazione, che ha sempre avuto bisogno della cosiddetta “identificazione del nemico”, vi dico che, a mio parere, i veri colpevoli sono stati i tazebao di ombretto sbrodolati sulle palpebre, magari pure con le polverine sbrulluccichine, volgari come le donne che si prolungano le unghie e ci incollano pietre, pietruzze, gnomi, ori, piume, lische e denti di pescecane, ossa della nonna, semi di papavero e resti della colazione. I colpevoli di cosa? Del fallimento di miliardi di rapporti sessuali. Magari sarà vero che noi ragazzi tendiamo all’impotenza. Ma quelle unghie, e soprattutto l’ombretto, fanno molto, moltissimo. In negativo. Non mi era mai capitato prima di dovermi lavare le mani dopo aver accarezzato un viso. Dopo, naturalmente, mi è venuto un terribile mal di testa.

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