Passo dopo passo, la procura federale e la FBI si avvicinano al momento in cui potranno mettere sotto accusa Donald Trump per i suoi rapporti con la Russia e per l’aiuto ricevuto in campagna elettorale. Personalmente non ho dubbi sul fatto che Trump possa essere colpevole, né mi meraviglia il fatto che un tizio, che in vita sua viene condannato per truffa, frode, evasione fiscale e chissà cos’altro, abbia avuto la strada spianata per diventare presidente degli Stati Uniti e poi cada sul pasticcio più scemo: connivenza con un nemico fittizio – perché io già stento a credere alla veridicità della Guerra Fredda da Kruscev in poi, figuratevi se credo che la Russia di Putin, che è un regime tecnocratico protocapitalista (ovvero: esattamente ciò che anche Trump vorrebbe instaurare negli USA), possa essere considerato un “nemico”! Credo molto di più alla possibilità che il capitale, negli Stati Uniti, persegua strategie diverse ed a volte opposte. Chi sostiene Trump vorrebbe riportare l’America indietro di un secolo, rinunciare alla scommessa della tecnologia sostenibile (laddove altri, specie i Cinesi, hanno un vantaggio che appare oramai incolmabile), puntare su carbone e clava, sull’abbassamento della vita media, sullo spreco di risorse, sull’assenza di uno Stato che regola e indirizza, sulla giustizia “fai da te” dei pistoleros che entrano nelle città e compiono massacri, credendosi Billy the Kid, o della soldataglia medievale che uccide per noia e divertimento, specie i neri. Ebbene: credo che Trump, in questo senso, non rappresenti la direzione che vorrebbe prendere la maggior parte dei grandi imprenditori, che sanno benissimo come le scelte di Trump, che nel breve periodo possono sembrare utili al rilancio dell’economia, nel lungo periodo porterebbero il Paese non solo a perdere un ruolo egemonico che già non ha più, ma a retrocedere oltre il terzo posto mondiale in una serie di classifiche vitali per la dinamicità di un sistema: investimenti in tecnologia, in salute, in qualità, in sostenibilità, in valore complessivo e relativo del prodotto interno. Mentre gli Stati Uniti, in modo arcaico e stupido, hanno cercato di piegarci con dei trattati commerciali capestro, che volevano imporre merci scadenti e dannose sui nostri mercati, la Cina ha iniziato a costruire, a spese proprie, una nuova Via della Seta (comprando, ad esempio, i principali porti della Grecia, il che potrebbe purtroppo tagliare fuori dal progetto, dotato di una capitalizzazione mostruosa, Trieste e la Romagna) ed una Via Transafricana che parte da Port Said (Egitto) e Berbera Port (Somalia), attraversa il Sud Sudan, il Sudan, l’Etiopia, il Kenya, l’Uganda, il Rwanda (che è lo Stato più ricco ed avanzato del Continente Nero), il Congo DRC e finisce a Matadi, dove Bolloré (il proprietario di Vivendi, Telecom, l’azionista di Generali e chi più ne ha più ne metta) costruisce un porto fluviale e militare che è la porta per l’Angola, la Guinea Equatoriale, il Congo Brazzaville e l’Africa Occidentale, saltando la pericolosissima enclave di Cabinda e la rissosa Nigeria. Lungo questo percorso i Cinesi hanno costruito una dozzina di città modernissime, tutte tarate per un milione di abitanti ciascuna, tutte ancora quasi vuote, in cui mandare a vivere i Cinesi che lavoreranno su questa strada. Quando Paolo Gentiloni, a Luanda, parla degli investimenti italiani laggiù, mi rendo conto che, almeno lui, abbia capito cosa dovremmo fare e dove dovremmo essere. Non posso darvi cifre, perché sarebbero inventate (nel senso che non le sa nessuno), ma il volume di resa a lungo termine dei progetti di industrializzazione, telecomunicazione, logista e commercio della Cina sono da soli più della metà del prodotto lordo dell’intero pianeta. Comandano loro, un altro regime tecnocratico protocapitalista, come la Russia, e come Macron sta cercando di fare in Francia. Se mi avete seguito fin qui, vi sarà chiaro anche perché il dittatore nordcoreano, che non ha i soldi né per il panem, né per il circenses, ed il cui popolo è stremato e disumanizzato, sia in grado di sparare un missile atomico che può colpire ovunque. Ai Cinesi va bene così. Se le Coree divenissero una, ci sarebbero soldati USA alla frontiera con la Cina, e Donald Trump potrebbe farsi venire idee ancora più imbecilli di quelle che ha avuto fino ad ora. Non ci credo alla possibilità che Pyongyang butti un’atomica su Los Angeles. Il ciccione mi dicono che parli otto lingue (capisce persino il Senatore Razzi, pare), abbia una mimica buffa, sia un assassino maniacale ed un dittatore d’altri tempi, ma non del tutto stupido. Infatti la Cina non vuole inasprire l’embargo. Oltretutto, questa diatriba ci distoglie dalla crisi internazionale più importante del decennio, quella tra fazioni opposte della famiglia reale saudita e l’Iran. Lo dico senza peli sulla lingua. Noi, se la smettiamo di investire sul nazionalsocialismo (come fa Matteo Salvini, in modo disgustoso), abbiamo una sola scelta: siamo dalla parte d’Israele e dell’islam sunnita egiziano. E il Papa fa bene a sostenere i musulmani che vengono scacciati dalla Birmania. Non vi piace Bibi Netanyahu? Nemmeno a me. Ma se fossi nella merda, andrei a Gerusalemme. Mai a Mosca, mai a New York, mai a Ryiadh, mai a Pechino. E se fossi giovane, andrei in Africa, per ricominciare a sperare.

Lascia un commento