Nessuno va via da Roma. Tutte le strade portano a Roma. Tutti vogliono venire a vivere qui, non importa dove siano nati. Ma io, in quel dicembre del 1985, volevo solo andarmene via. Potrei affogarvi di pathos, parlando dell’annullamento delle condanne per la strage di Piazza Fontana, o dell’attentato a Fiumicino che quelli di Abu Nidal compirono, solo poche settimane dopo il rapimento dell’Achille Lauro, ma la verità è che Adriana era incinta, ed io non avevo idea di dove andare a prendere i soldi per gestire una famiglia in crescita. Non avevo idea di come farlo a Roma, ma all’estero, ovviamente, sarebbe stato diverso. Però nessuno va via da Roma, mai, sei forse matto? Per fortuna, per Adi (Adriana) era diversa: cresciuta con due patrie, padre romano e mamma svizzera del Canton San Gallo, ogni anno, verso Natale, andava a lavorare un mese a Zurigo come commessa, e tornava carica di denaro. Tra noi due andava malissimo, come spesso nei 14 interminabili anni in cui siamo stati insieme. Le difficoltà finanziarie avvelenano le storie di coppia, specie se sono di dipendenza, di paura e non d’amore, perché da piccini non si sa ancora di cosa si stia parlando. Sfogavo la mia frustrazione scrivendo canzoncine per sfottere gli amici, parole che spesso rasentavano o raggiungevano l’insulto gratuito o il tradimento di confidenze ricevute, buttavo tempo e denaro in tornei di calcetto, ingrassavo, sognavo un olocausto liberatorio che mi permettesse di azzerare tutto e ricominciare dove nessuno mi conoscesse. Ed una sera, quando Adi era già partita per Zurigo, suonò alla porta una ragazza che vendeva enciclopedie. Marinella. Ci sentimmo diverse volte, e lei decise che sarebbe venuta a cena da me il 27 dicembre, ed avremmo visto cosa sarebbe accaduto. Il giorno dopo avrei dovuto prendere il treno per Zurigo. Un treno che, ne ero certo, non avrei preso – perché i maschi, tutti, o almeno io, provano continuamente la tentazione di sostituire intelligenza, coscienza, responsabilità, ambizione, consapevolezza, con il gocciolio esanime e postcoitale del nostro attributo sessuale. Sul giradischi avevo messo Bruce Cockburn, invernale e malinconico, perché mi sentivo in quel modo. Marinella chiese chi fosse, poi mi disse che era bravo quasi quanto una nuova cantante che aveva appena scoperto, grazie ad una cassetta che aveva appena portato dal Canada suo fratello, tornato per Natale dal suo presente di emigrazione. Loreena McKennitt. Mise su la cassetta e ne uscì questa canzone, straziante. Quattro anni più tardi quella stessa canzone venne violentata dai Simple Minds per “Belfast Child”, ma in quel momento era una lama fredda di coltello nel mio cuore. Dissi di no a Marinella e partii per Zurigo. Non perché fossi improvvisamente divenuto adulto, ma perché mi dissi che ero un cazzaro cagone senza coraggio, e che il mondo mi stava aspettando, lontano dalla trappola chiamata Roma, e che se volevo diventare giornalista (e Dio sa se lo volevo), e non esisteva una via breve, avrei preso la via lunga, e mi dissi che Adi fosse la persona giusta con cui tentare. Andai a Zurigo, e con uno sforzo immane (mio, ma anche di Adriana), divenni giornalista, mentre questa ragazzina dell’Ontario diventava una star internazionale, ed i suoi dischi si vendevano a milioni. Per me la sua voce era un richiamo all’ordine, il sapere che avevo un compito da assolvere, un debito con la vita da pagare, una figlia da crescere, una vita da amare segretamente. Chi mi ha conosciuto in quegli anni sa bene con quanta forza e rabbia io mi sia battuto, e che “Mani Pulite” mi regalò la chiave per raggiungere ciò che avevo sognato – mentre Adriana cambiava nella direzione opposta, e si preparava alla sua seconda vita, il più possibile lontano da me e dalla mia esistenza tormentata e faticosa. Quando Adriana se ne andò, nel 1994, la mia carriera ebbe un balzo in avanti decisivo – cosa che lei ancora oggi non mi può perdonare, perché sa bene che la fine del nostro matrimonio fu un elemento necessario per la mia crescita, perché era una gabbia in cui proteggevo le mie paure e mi impedivo di fare le scelte giuste, dicendomi che fosse in onore ad un concetto punitivo di famiglia. Quando mi innamorai di una Tatiana, invece di dichiarare a costei il mio amore, lo dissi a Adi, che prese il telefono ed andò a lamentarsi dalla Tatiana stessa, che naturalmente non vidi mai più. Gli uomini vigliacchi vogliono essere puniti e traditi, ed ottengono sempre il risultato voluto. Andai a fare il contadino in Germania Est, e, naturalmente Loreena Mckennitt divenne la colonna sonora del mondo nuovo che andavo a scoprire, pieno di entusiasmo, di temperature polari e di una nuova sicurezza, che mi portò a successi anche in politica e nella musica. Nel 1998 ero una persona completamente diversa da quella pavida e tremebonda che, in quel Natale di 13 anni prima, aveva preso la decisione di andare a Zurigo e seguire il destino che io stesso avevo scelto. Alla radio dissero che il compagno di Loreena McKennitt, insieme a due comuni amici, era affogato in un incidente di mare. Lei disse che avrebbe finito il tour ed avrebbe smesso. Ok, mi dissi, è un segnale. Si cambia vita. Nel settembre dell’anno dopo, in TV, guardai il famoso concerto di Loreena a Toronto, da cui viene il disco più meraviglioso di quel decennio. Lo guardai con una donna, che ho inutilmente amato per tantissimi anni, e che ha costruito la sua vita sulla paura, la paura della paura, l’orrore per la paura della paura – e scelse di stare con un fallito psicopatico, perché era terrorizzata dal mio modo di essere. Né lei né io, allora conoscevamo una legge immutabile dell’universo. Tutti (tutte) ritornano. Un “no” bugiardo di oggi sarà un “sì” quando sarà troppo tardi, e così è stato. Uscì una nuova versione di quella prima canzone che avevo tanto amato, stavolta cantata in coppia con Sinnead O’Connor. Un inno al rimpianto e alla solitudine, eppure alla bellezza dell’amore e della vita. Ve la regalo, perché Natale si avvicina, ed è il momento delle scelte, di costruire il proprio destino, sfidando i ghiacciai di un apparente solitudine, in armonia con il proprio cuore e quello degli elementi in guerra con il gelo primordiale, oppure scegliendo il tepore delle prigioni in cui tradiremo tutto, noi stessi per primi.

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