Gli Ardegheschi erano tra coloro che, avendo servito nelle milizie romane, sebbene nativi longobardi, ottennero terre alla fine del servizio militare e si trasformarono in proprietari terrieri. Per oltre un secolo, dopo l’anno mille, controllavano una parte importante della Valle dell’Ombrone, quella che unisce Siena a Grosseto (che allora era meno di una scoreggia). Naturalmente, nel momento in cui Siena divenne Stato, i boschi immensi ed i prati fertili dell’Ombrone fecero gola, eccome, e gli Ardengheschi vennero “annessi” a colpi di ascia e trattati. Due secoli dopo, sbriciolato il loro territorio, restava funzionante solo la bellissima badia che si può ancora vedere a Civitella, il resto era terra senese e basta. Tranne il Castello del Belagaio, di cui, fino a ieri, non sapevo nemmeno l’esistenza. Certo, perché qui tutti vanno a tentare di estrarre la Spada nella Roccia di San Galgano, ma di ciò che c’è intorno, in questa terra fatata che si dovrebbe chiamare Terra dei Sette Borghi, ed invece ancora non ha un nome, pochi sanno qualcosa. Per saperne di più dovete chiedere a Fabrizio Santini ed Alessandra Casini, a Gavorrano, oppure ai magnifici clan dei Falchi o dei Marcucci, a Roccastrada (Mirko Falchi e Danilo Marcucci li trovate al Bar Moderno), o magari a Loretta Pizzetti, che ha impegnato così tanta passione in quei luoghi… e poi andare a farsi coccolare da Gemma Solari ed Isabella Camarri alla Melosa, e farsi nutrire da Liviano Olivotto e Patrizia Gazzè al Picio Matto. Fine dello spot pubblicitario. Insomma, ieri, non avendo voglia di lavorare, mi sono buttato sulla strada di Torniella e, ad un bivio nel bosco, ho derapato a destra e mi sono intrufolato in un viottolo di campagna in direzione Parco Naturale di Farma. Senza saperlo, ho fatto un salto indietro di 900 anni e sono finito nelle terre e nei boschi degli Ardegheschi. Dei colori autunnali non so cosa dire, se non che camminavo in una nuvola di profumo di foglie, circondato da rossi e ocre e altre tinte meravigliose, su una strada battuta che pareva di essere nella precisissima Svizzera. Mi accompagnavano gli uccelli, poi due daini nervosi e recalcitranti, poi una volpe curiosa, che secondo me voleva capire se avessi panini da sbocconcellare e poi, quando ha visto che ansimavo per la fatica ed avevo le mani vuote, se ne è andata offesa. Una volta arrivato alla svolta, sulla sinistra, si vede un Castello immenso, ed intorno turbini di cavalli fulvi e scatenati. Sono rimasto lì mezz’ora, travolto dalla bellezza, pensando che tutto questo, se non sei di qui, non lo vedrai mai, perché nessuno ti dice che esista. Sono tornato a casa appena in tempo per vedere il tramonto sul Tirreno, visto da oltre 20 chilometri di cielo terso e boschi invitti, e per ringraziare il Signore, e la Vita, la mia imperitura fortuna, che mi salva in ogni momento triste e faticoso e mi accompagna in luoghi, tempi e persone che mi restituiscono la consapevolezza della felicità e della necessità e voglia di fare, insieme, qualcosa di splendido.

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