Nell’estate del 1971, sul secondo canale della radio (RAI, ovvio), Giovanni Gigliozzi lanciò un nuovo programma musicale per i giovani, “Cararai”, nel quale si poteva telefonare e mettevano su qualunque cosa, da Claudio Villa a Captain Beefheart. Guido e Maurizio de Angelis (gli Oliver Onions che hanno scritto e cantato le colonne sonore di Sandokan, Bud Spencer e tanti altri) presentavano “musica astrusa”, ed io, che non sapevo nulla di nulla, ascoltavo rapito. Molte canzoni che imparai ad amare allora, nemmeno avevo capito di chi fossero, perché Gigliozzi ed i fratelli De Angelis facevano un casino tra risate e frecciatine. Più avanti, negli anni successivi, Gigliozzi fece solo il regista, ed i fratelli De Angelis guidavano la trasmissione solo l’estate – noiosamente, salutando con “Maeba”, che era la battuta di un film di cazzotti finti chiamato “Safari Express”. Giovanni Gigliozzi merita qualche riga. Era entrato all’EIAR durante il fascismo ed aveva guidato (per quasi 30 anni) una trasmissione meravigliosa chiamata “Campo de’ Fiori”, nella quale comparivano tutti i romani più famosi di tre generazioni, da Ettore Petrolini ad Aldo Fabrizi, da lui a Fiorenzo Fiorentini, Checco Durante, Ida De Marzio (che faceva Orazio Pennacchioni, er tifoso de la Roma), e poi Corrado, Gassman, Pandolfi, tutti. La trasmissione la chiusero perché la RAI, nel 1974, fermò tutte le trasmissioni musicali esclusivamente regionali. Peccato. E Gigliozzi produsse una serie di trasmissioni indimenticabili, ma non più romanesche. Per ascoltare dal principio, bisognava sorbirsi il Bollettino del Mare e gli Avvisi ai Naviganti, che non finiva mai, di cui non fregava niente a nessuno e di cui non si capiva nulla. Poi la sigla (scritta dal maestro Mazza, ho poi scoperto), e finalmente la musica che piaceva a me. Non il beat, ma quella “strana” – anche per me, che ascoltavo canzonette italiane oppure Elton John, lo ammetto. I tre moderatori misero su un disco contenente un pastrocchio disarmonico e folle (così mi pareva allora) e dissero: questo è Camembert Electrique, il più grande disco mai registrato nella storia della musica leggera, dal complesso franco-australiano Gong. E siccome ero un bambino, ma ero già uno snob (uno sbruffone ed un millantatore) andai in giro ripetendo a pappagallo che Camembert Electrique fosse una pietra miliare della cultura umana, e non lo avevo mai ascoltato davvero. Quando, tre anni dopo, iniziai a comprare dischi ed aprì “Discoland” in Via Baldo degli Ubaldi (Dio, quante notti ho sognato di poterlo svuotare, rubare tutto, prendere qualunque cosa, che non potevo pagare nulla…), chiesi alla cassa Camembert Electrique dei Gong, e quelli mi risposero che avevo preso la droga sbagliata e che non esistevano né il disco, né la band. Ovviamente, non esistendo internet, non avevo speranze. E comunque stavo già bene con Led Zeppelin, Jethro Tull, la PFM e tutto il resto. Lo snob lo si può anche fare dopo. Molto dopo. Ma a scuola girava un giornalino che si chiamava “Ciao 2001”, e che parlava della musica rock, con tantissimi dettagli. E nel 1974 annunciò trionfalmente che i Gong avevano concluso la trilogia di Radio Gnome con un disco intitolato “Flying Teapot”, le Teiere Volanti, da cui (anni dopo) degli amici presero il nome per la loro squadra di calcetto. Ciao 2001 sosteneva che Flying Teapot fosse un capolavoro. Tornai a Discoland con in mano il giornaletto, mi risposero di booh. Non ce l’avevano, i marrani. Inutile dire che oggi quel disco ce l’ho, e che l’ho pagato tre stonfi. Inutile dire che amo quel disco ancora più di quanto amo Camembert Electrique, che ora ho. Inutile dire che da Flying Teapot ho conservato un insegnamento per la vita – il collegamento tra le banane e la pace universale, da cui il mio personaggio radiofonico Die Böse Banane, la Banana Cattiva, con cui ho gigioneggiato nell’etere per un decennio. Quell’insegnamento viene da questa canzone. “Radio Gnome invisible”. Ascoltatela, e cogliete il senso profondo della strofa che recita: Banana, Nirvana, Mañana. Come avrebbe detto Ziononno: Godi, popolo!

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