Nell’estate del 1967 Stephen Stills era a Los Angeles e cercava in tutti i modi di salvare la sua band, i Buffalo Springfield, che cominciavano proprio in quel momento a decollare. Aveva iniziato con un suo amico di gioventù, Richie Furay, cui la California faceva schifo e non riusciva ad appassionarsi per quel misto di hippies e studenti di sinistra che costituivano l’humus di tutto ciò che poi noi (e non solo noi) abbiamo amato. Richie andò con Stephen a vedere i Jefferson Airplane e disse: “Non sanno suonare”, poi, dopo un concerto dei Grateful Dead, dice: “sono così strafatti che non si sono nemmeno accorti che le chitarre erano scordate”. Die giovani texani, cresciuti a pane e country, per giunta con tanto Messico, non potevano integrarsi così facilmente. I due divennero una band perché la casa discografica diede loro un bassista ed un batterista, e poi perché raccolsero un tizio che suonava da solo per strada, chitarra, armonica e cattivo umore, che era venuto in autostop dal Canada, era senza permesso di soggiorno, trattava tutti male ed aveva canzoni stupende, tale Neil Young. In pochi mesi, i cinque avevano registrato due dischi straordinari ed erano sulla bocca di tutti. Ed a quel punto Neil e Richie avevano deciso che Steve era noioso, la band duepalle, tutto ciò che girava attorno al successo qualcosa di insopportabile, la California un posto di merda. Neil scomparve, Richie fondò i Poco, una delle migliori band West Coast di sempre, che è durata decenni, e di cui magari un giorno racconterò. Steve si mise in giro a cercare nuovi musicisti per continuare la pista intrapresa con i Buffalo Springfield, e conobbe Judy Collins. Cercate foto di costei, credo che sia stata una delle più belle donne del pianeta, con degli occhi blu da spavento, e poi calma, tignosa, una pianista classica eccezionale, una voce meravigliosa, ed una carriera iniziata prima dei 20 anni come scopritrice di canzoni folk di autori che – grazie a lei – divennero famosi: Leonard Cohen, Eric Andersen, Randy Newman, e soprattutto Joni Mitchell. Cantava anche canzoni di Richard Farina, il marito di Mimì Baez, così ha sempre fatto parte della tribù di Joan Baez e Bob Dylan, a Nashville ed al Greenwich Village tutti la volevano, in California poteva suonare con chiunque, anche con musicisti classici che avevano lavorato con Bernstein ed Aaron Copland. Una dea. Il “brutto anatroccolo” Steve vinse il suo 13 al Totocalcio. In autunno erano andati a vivere insieme e lui divenne famoso, anche se come Signor Collins. Judy gli presentò Al Kooper e David Crosby, con cui registrò un album improvvisato, “Supersession”, che è la pietra miliare dell’inizio della musica West Coast. Mama Cass, la cantante dei Mamas & Papas, gli presentò un lungagnone inglese, Graham Nash, che era venuto in California lasciando una delle band di maggior suuccesso commerciale d’Europa, gli Hollies. Crosby, Stills e Nash iniziarono a suonare insieme nella veranda di casa di Judy Collins, quella ritratta nellla foto della copertina del loro primo album. Lo fecero perché erano tutti e tre perdutamente innamorati di Judy (anche se in quel periodo Crosby usciva con Joni Mitchell). Lo fecero perché nel frattempo “For what it’s worth” dei Buffalo Springfield era divenuta l’inno del movimento studentesco e Stills voleva suonarla in pubblico. E poi era tornato Neil Young, da chissà dove, e magari, facendogli un po’ di corte… Judy nel frattempo si era innamorata di qualcun altro. Ho dimenticato il nome. Steve scrisse una canzone incredibile, totale, ultimativa, una suite scritta secondo i canoni classici, perché con Judy litigavano sempre, perché lei diceva che la musica che suonava lui, comparata con la classica, era acqua fresca. Lui gliela suonò, con Crosby e Nash, in una prima versione in studio. Lei fece spallucce e disse: “interessante. Sembra complessa, furbone. Ma è facile suonare la chitarra così quando l’hai tutta accordata in MI”. Tornò a casa, raccolse la roba di Steve e la mise fuori dalla porta – che l’anatroccolo si cercasse un’altra Mamma Oca, subito. Cosa sia stato poi di Crosby Stills Nash & Young lo sappiamo tutti. Andarono a Woodstock, avendo provato insieme solo per tre giorni, cantarono l’inno di Joni Mitchell (che non era potuta venire e scrisse quella canzone stellare), e poi cantarono questa, indimenticabile, grandiosa. Dite che è troppo lunga? Forse. Ma per grandi storie ci vogliono grandi canzoni e questa, per me, accompagna grandi vite, piene di fatti tragici e fortunati, piene di gioia e tristezza, piene di allegria e commozione. Piene, appunto. Come le nostre.

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