Avrebbe dovuto essere a fine settembre, o magari (meglio) anche un po’ più tardi, con un tappeto di foglie rosse a coprire l’erba, e ci sarebbe stato un tramonto, pieno di quei colori che c’erano una volta, nei film degli anni 60, e che ora si sono spenti. Conosco ogni odore e sapore. Conosco gli sguardi, il vento freddo sul viso e la tenerezza che lo cancella. Ci sarebbe stata una stretta, forte, diversa da un abbraccio, perché avremmo guardato entrambi nella stessa direzione. Avrei saputo l’alito, il respiro, il fremito delle mani. Conosco a memoria, da sempre, il prima, il durante ed il dopo. E forse è meglio che non sia accaduto, perché non avrebbe mai potuto essere così perfetto. Non c’è mai stato un viso. Mai, ora lo posso ammettere. Non c’è mai stato un viso, né un nome. Ma c’è sempre stata una calma, che non ho mai incontrato in nessuno, perché sarebbe stata la calma di chi ha trasformato la banale forma quotidiana in una tensione serena, sicura. Mi sarebbe stato permesso di chiedere, ed avrei ottenuto una risposta. E forse è meglio che non sia accaduto, perché mai e poi mai sarebbe stata una risposta che non mi aspettassi – mentre proprio in quel momento speravo nella prima, vera, grande sorpresa: una direzione, grazie alla quale, in seguito, avrei sempre scelto avendo un punto irrinunciabile, e non il caos che c’era e che c’è. Ora posso dirlo, perché è passato tutto il tempo. Dopo un autunno che non arrivava mai, e che aspettavo invano, trepidante, ad ogni estate, ora siamo in inverno. Dopo una corsa folle, interminabile, fortunata oltre ogni accettabile limite. Una corsa che sono riuscito a correre perché ero solo, perché avevo le mie debolezze con me, e mi hanno fatto compagnia. Detta così, suona patetica, ma sto ridendo. Di me stesso, di questa adolescenza infinita che è divenuta impalpabile canizie del cuore. Ma non di voi, che vi siete dati la briga di capire – e nessuno al mondo ha il diritto di essere capito. Non sono un pragmatico, non sono un cinico, ma un turbine di passione, la cui indifferenza, o quella che pareva tale, era solo stanchezza. Vi ho lasciato andare, sapendo che sareste tornati, come poi è stato. Ma da ieri, lasciando andare, so che non ci sarà ritorno, perché il vento è cambiato, e volo via, trascinato dall’ombrello. Non l’ho scoperto da solo, me lo ha detto una ragazza triste, poco più di un anno fa. Non devo cercare ancora. Mary Poppins sono io, sono sempre stato io. Ed ora so anche perché ho lasciato indietro il mio Bert. Così oggi, per la prima volta, ho riguardato il film con questa consapevolezza. Un film che avevo visto quasi cento volte, amandolo alla follia, fin da quando avevo cinque anni, e che ho capito solo adesso. La favola è vera, ed è sempre stata con me, tutta intorno a me. La vita è una cosa meravigliosa.

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