La realtà, oggi come ieri, è soggettiva. Lo aveva detto, in un monito, Bertrand Russell, circa 80 anni fa, quando organizzò un convegno per cercare di ricondurre le scienze, ognuna delle quali era partita come un razzo nel creare terminologie proprie, ad una lingua comune, in cui ci fossero termini che valessero dalla medicina all’antropologia, dalla filosofia alla matematica, dalla linguistica alla biologia, dall’economia alla chimica. Un progetto che fallì eroicamente. La specializzazione delle discipline e delle sotto-discipline ha aumentato velocità, fino a giungere ai giorni nostri, nei quali persino gli specialisti hanno di fronte termini diversi per descrivere lo stesso fenomeno visto da prospettive ideologiche o funzionali diverse. Se è così per la scienza, figuriamoci per l’informazione. Questo dibattito idiota sulle “fake news” mi innervosisce per questo: viene stigmatizzato da coloro che l’hanno inventato e ne praticano da sempre l’utilizzo come uno strumento per dimostrare che la realtà non è la prova epistemologica cercata da Karl Popper (il punto più alto della scienza delle scienze), ma è la tesi del più forte. Oggi non è vero ciò che è vero, ma ciò che la maggioranza delle persone è disposta a credere, il che significa: ciò che la fonte più potente ha propalato. Dopodiché, se si ha una forza politica ed economica sufficiente, si riesce perfino a rendere credibile e visibile la peggiore delle puttanate. In una recentissima discussione in una conferenza, un’amica carissima si è trovata di fronte una rappresentante di un movimento politico che sosteneva una solenne sciocchezza. La mia amica le dimostra che sbaglia. Costei risponde: forse ha ragione lei, ma noi siamo di più e si farà come diciamo noi. Ma qui torniamo alla crisi endemica del concetto di democrazia, che non voglio affrontare in questa sede, anche se è parte fondante di questo problema gravissimo, che è poi l’analfabetismo di ritorno e la scelta cosciente di gran parte della popolazione terrestre, di rifiutarsi di imparare, capire, essere consapevoli e corresponsabili. Quando ho iniziato a voler scrivere, la verità era ciò che stava sui giornali, ovvero il racconto di una persona che si credeva pregiudizialmente informata. Non a caso il giornale che preferivo da bambino era “Epoca”. Solo anni dopo ho imparato che quei reportage straordinari venivano scritti da persone di grande penna, ma le cui fonti erano tassinari e portieri d’albergo, e che non conoscevano le lingue dei Paesi da cui scrivevano. Dopodiché, sulle cose di politica ed economia, valeva la legge della velina: trascrivevi la versione ufficiale e facevi pippa se avevi dubbi. Oppure azzardavi: ho un dubbio. Punto e basta, quasi impossibile andare oltre. E del resto, come dimostrano Mauro De Mauro, Mino Pecorelli, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Ilaria Alpi, Carlo Casalegno, Walter Tobagi, Graziella de Palo, Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Vittorio Arrigoni, Simone Camilli (e chissà quanti ne dimentico), se riesci ad andare oltre, ed a trovare sufficienti indizi per raccontare una realtà “altra”, ti ammazzano, subito, senza se e senza ma. Poi c’è stata una fase, specialmente negli anni di “Mani Pulite”, in cui la verità (ovvero: ciò che puoi scrivere) è ciò che puoi difendere in Tribunale. Avevi una carta della procura? Scrivevi, anche se ti sembrava una stupidaggine (come accadde ad esempio per gran parte dell’inchiesta “cheque to cheque” o di diverse inchieste di Woodcock o di Cordova), perché se ti avessero denunciato avresti avuto la “figurina” che to scagionava. Ma il berlusconismo era già più avanti, perché aveva studiato ad Est. Tu raccogli ciò che i russi chiamano “kompromat” (una parola usata in russo in tutto il mondo), e lavori con quello. Mi spiego. Il potere decide che il Signor Bianchi ha rotto le scatole e chiede ai suoi scribacchini di fregarlo. Gli incapaci mettono in moto ciò che in Italia si chiama “la macchina del fango”. Quelli bravi (non sapete quanto mi rode non poter fare nomi…) costruiscono prove, facendo inserire loro tesi nei documenti della magistratura (che poi usano come fonte), convincendo testimoni a dire le cose in un certo modo, o (capolavoro) scrivendo in modo suggestivo – come ho imparato a fare io subito prima di smettere di fare il giornalista, perché mi facevo schifo: il Signor Bianchi ha lavorato alla Rossi SpA con il Signor Verdi, che ha un figlio in galera per droga ed un fratello che ha fatto bancarotta fraudolenta. Il Signor Bianchi è amico su Facebook di uno degli imputati nell’inchiesta a carico dei pusher del figlio di Verdi, ed è sposato con la figlia di un tale che è in affari con coloro che hanno fatto fallire la Rossi SpA. Punto. Chi legge pensa che il Signor Bianchi sia per lo meno un tizio sospetto che sceglie male le amicizie. Se poi la procura di Lettomanoppello indaga sul suo presunto ruolo nel disastro ambientale avvenuto ad un chilometro dalla sede della Rossi SpA, il signor Bianchi diventa capomafia – e siccome OGNUNO di noi ha qualche piccolo scheletro nell’armadio (una truffina fiscale, un favoruccio ottenuto, un permessello ingiusto ravanato da un’amicizia) nel giro di un mese il Signor Bianchi è rovinato. Il Signor Bianchi, almeno, può farmi causa. Se io questo procedimento lo uso con dei medicinali, con le scie degli aeroplani, con la bava delle libellule, il trend umorale dei tedeschi o dei libanesi, la deriva dei continenti e lo spread, allora non mi denuncia nessuno, perché non esiste qualcuno personalmente offeso. Grazie all’impunità della rete, oggi si può sostenere tutto ed il contrario di tutto. Il potere ha di fronte a sé due possibilità: o proibire e punire, come fanno i Cinesi, o spararla sempre più grossa di qualunque coglione su internet, come Donald Trump, o divenire slalomista della minchiata, come Matteo Renzi, Matteo Salvini, Beppe Grillo, insomma: tutti. Tranne poi fare figuracce perché, nel valetuttismo generale, il superpirla Giggino Di Maio spiega che la Russia si affaccia sul Mediterraneo, che Pinochet guidava il Venezuela o chissà cos’altro. La realtà è ciò che siamo disposti a credere. Se capiamo che ci stanno rimpinzando di bugie, allora dobbiamo prendere in mano la nostra individuale responsabilità di essere umani, e studiare – magari sbagliando, ma studiare.

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