UN NUOVO RACCONTO PER L’ITALIA (5) – Recentemente, in un post sul tema delle fake news, ho affrontato il problema spinoso della costruzione del sapere, o di ciò che noi reputiamo tale. Oggi abbiamo a disposizione una quantità di fonti straordinaria, impensabile anche solo dieci anni fa. Oggi, quando mi occupo di Angola, non leggo i reportage di giornalisti occidentali che sono probabilmente andato a Luanda per tre giorni, hanno parlato con tre persone in croce (di cui non sanno nulla) e si sono fidati dell’opinione di chi, anche lì, ha i propri interessi legittimi da difendere. Oggi io posso leggere i tre principali giornali angolani, più l’agenzia governativa (che è molto dettagliata), più i blog dell’opposizione. Per anni mi è stato permesso di seguire il dibattito quotidiano e di approfondire, con documenti ufficiali, la situazione della politica locale, della situazione economica, dei problemi tribali, dell’intrusione delle multinazionali. Questo vuol dire che conosco la verità sull’Angola? No, ovvio, ma ho una visione più complessa della situazione di quanto potessi averla qualche anno fa. In realtà non c’è nessuna differenza tra la profondità con la quale credo di capire l’Angola e quella con la quale credo di capire l’Italia, o l’Unione Europea, tranne i casi in cui io sia stato coinvolto personalmente in qualche mutamento ed abbia avuto un posto in tribuna particolarmente privilegiato. Questo vuol dire che in quelle situazioni io conoscessi la verità? No. ovvio. Ma avevo a disposizione più elementi per farmi una mia opinione. Questo è il grande dono che cii ha fatto internet. Oggi sappiamo che la verità non ci è mai stata detta, su nulla, ma abbiamo strumenti incredibilmente più efficienti per costruirci un’opinione. Il risultato sorprendente è che sempre meno gente si informa. Di fronte alla consapevolezza della complessità, di fronte al dover riconoscere l’assenza di un unico colpevole, deus ex machina, Grande Vecchio, capobanda, la stragrande maggioranza delle persone decide di non sapere, di non informarsi, di accettare slogan e pettegolezzi come verità incontrovertibili. Oltretutto, questa stessa stragrande maggioranza, nel momento in cui dubita di tutto e crede religiosamente ad un’unica fonte, fa esattamente ciò che il potere politico si aspetta da noi: che non siamo più capaci di percepire errori e gravi disonestà. Che accettiamo capri espiatori innocenti, pur di poter evitare di dover capire esattamente ciò che sta succedendo. A Roccastrada vogliamo trovare un modo interdisciplinare per invertire la tendenza, usando i mezzi (pochissimi) che la gente ancora usa per cercare di farsi un’opinione: la letteratura, la musica, il cinema. Oggi, per fare VERA informazione, bisogna scrivere romanzi, cantare canzoni, mostrare pantomime – esattamente come è sempre accaduto, nella storia dell’umanità, quando il racconto dei fatti fosse diventato un tabù (o fosse stato proibito per legge). In questi anni, partendo dall’etnologia, da alcuni studi di antropologia culturale, ma soprattutto di psicologia, mi sono convinto che l’umanità, quando non può dire un segreto, lo rappresenta, altrimenti impazzisce. Si tratta del principio su cui sono costruite teorie come quella delle Costellazioni di Bert Hellinger ed i suoi tantissimi derivati, ma molti di noi hanno memoria, per restare a casa nostra, del lavoro di artisti come Ettore Petrolini o Carlo Emilio Gadda. Dobbiamo ripartire da lì, ma usando l’intera panoplia di armi e strumenti di difesa a nostra disposizione. Non si può più raccontare una storia, che abbia la pretesa del grande romanzo borghese, senza mettere a disposizione di chi legge elementi chiave di management industriale e finanziario, di scienza, di analisi di intelligence, ed una versione a prospettiva multipla degli accadimenti di cui crediamo di essere stato testimoni, mentre ce ne hanno fatto vedere solo una brutta riduzione cinematografica. Per raccontare veramente, oggi, bisogna uscire contemporaneamente con un grande prodotto scritto, uno audiovisivo, uno metaforico, uno formativo, ed un’idea di azione politica. Sapendo bene che oggi, la politica, si deve fare accettando un presupposto irrinunciabile: niente elezioni, che sono il rito sacrali in cui le bugie che ci vengono raccontate diventano sostanza di verità apparente, come pretendono le grandi religioni monoteiste. Noi, invece, dobbiamo professare la religione del dubbio. Far vedere che funziona, è efficiente, offre risposte vere. E non annoia mai.

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