L’estate che sta finendo è l’ennesima, in serie, in cui ci siamo dovuti rendere conto sulla nostra pelle dei violenti cambiamenti climatici intercorsi negli ultimi decenni. Ultimamente, in TV, sono state mostrate immagini impressionanti dello scioglimento dei ghiacciai al polo. Noi reagiamo sempre allo stesso modo: mettiamo la testa sotto la sabbia, ci adattiamo, e persino nei dibattiti politici evitiamo non solo di considerare l’effetto di questi cambiamenti, ma non ci viene in nessun caso in mente di poter essere costretti, in un lasso di tempo veramente molto breve, a dover cambiare profondamente le nostre vite. Politici come Donald Trump affrontano questa questione con un cinismo inimmaginabile: investendo nella velocizzazione di un disastro ecologico in nome di una convenienza economica, peraltro tutta da dimostrare. L’essere umano è strano. Non ha paura della morte, ma si lascia convincere di aver paura dell’islam, del comunismo, se deve scegliere tra il chiudere una fabbrica che uccide o essere costretti ad emigrare per cercare lavoro, preferisce morire dove è nata. In modo superstizioso, crede che se un problema verrà ignorato abbastanza a lungo, si risolverà da sé, o diverrà parte di una delle manifestazioni psicotiche che usiamo per gestire la nostra quotidianità. Arvea Marieni, un’analista scientifica di fama internazionale, lavora invece da anni sulle cose come stanno, risolvendo problemi strutturali per i governi, come quello Cinese, che si rifiutano di lasciar andare in malora il Pianeta senza far nulla, o diverse aziende multinazionali che, sul piano globale, devono spesso prender decisioni a lungo termine e, quindi, finalmente, decidono anche in base ai mutamenti climatici, che hanno poi effetti dirompenti sulla produzione e sulla vita dei mercati. Un paio di giorni fa Arvea ha finalmente pubblicato (in italiano) un compendio dei suoi studi, delle sue analisi, delle sue previsioni, delle direttrici su cui lavora. Si tratta di una lettura terribile, angosciante, che ci può dare l’impressione di essere completamente indifesi d fronte a qualcosa fin troppo più grande di noi. (http://formiche.net/2018/08/1011454/). Primo punto. Le trattative globali sul riscaldamento sono sempre partite dal presupposto che il disastro che stiamo fronteggiando deriva da un aumento generale di mezzo grado o un grado. Un grado in 200 anni, mezzo grado dal boom economico del secondo dopoguerra. Ma le cose sono andate in modo diverso: si voleva evitare di arrivare a due gradi. Non ci siamo riusciti. Rischiamo di arrivare prestissimo a tre gradi, il che cambierebbe per sempre la geografia del pianeta. Secondo punto. Solo quest’anno, davvero troppo tardi, alcuni politici di alcuni Paesi si sono resi conto, visti i disastri ecologici che avvengono con spaventosa regolarità da due o tre anni, che siamo in ritardo e che bisogna fare qualcosa subito. Purtroppo senza poter contare sull’appoggio degli Stati Uniti e di molte altre nazioni industrializzate, che continuano a far finta di nulla. Arvea Marieni elenca alcune cifre che lasciano storditi, ma racconta di come, solo quest’anno, la reazione della pubblica opinione sia radicalmente cambiata, e che questo potrebbe spingere i politici a fare lo stesso. Terzo punto. Per salvare il Pianeta bisogna spendere dei soldi, tantissimi soldi. Circa 15mila miliardi di Euro per ritardare l’ulteriore riscaldamento, 45mila miliardi di Euro per fermarlo e riconvertire il nostro modo di vivere senza essere costretti a tornare all’età della pietra. Sono cifre inimmaginabili. Più perdiamo tempo, più queste cifre crescono. Se dovessimo raggiungere i tre gradi, verremmo sparati indietro alla preistoria senza passare dal via, e miliardi di persone morirebbero in modo atroce in un periodo brevissimo. Quarto punto. Oggi, dalla “carbon tax” europea, vengono 112 milioni di Euro all’anno. Persino le grandi compagnie petrolifere la vogliono, vogliono che sia aumentata e sia estesa, e che vengano cancellate eccezioni e privilegi. Arvea Marieni fa dei primi calcoli sui modi di tirar fuori quel denaro. Con una “carbon tax” nemmeno troppo pesante, solo negli Stati Uniti, sortirebbero 300 milioni di Euro all’anno. Quinto punto. La fine di un’economia basata sugli idrocarburi cambierebbe profondamente il nostro stile di vita, ma Arvea Marieni elenca una serie di possibilità concrete, sulle quali lei e gli scienziati di tutto il mondo lavorano da anni, per evitare che il contraccolpo sia molto duro. La risposta è nell’energia elettrica e nella possibilità, che potrebbe essere realizzata entro il 2022, di creare un solo sistema ed un solo mercato mondiale dell’elettricità. Arvea conclude: “L’estate del 2018 ha portato le prime avvisaglie della tempesta che investirà il pianeta. Gli scenari sono devastanti: molti paesi ad alta vulnerabilità ambientale e in via di sviluppo saranno messi in ginocchio e decine di milioni di persone si metteranno in marcia per sfuggire alla catastrofe. Impareremo a parlare di rifugiati climatici. Resisteranno solo i paesi tecnologicamente e socialmente avanzati, quelli dotati delle risorse necessarie a riorganizzare la vita: infrastrutture, sistemi sociali e servizi”. Vi prego di leggerlo. Di farlo vostro. Di capire che tutti gli altri dibattiti politici sono, in confronto a questo, stronzate. Non uso mai parolacce. Ma le cose non sono mai state tanto serie.

Lascia un commento