Nella mia vita, tranne che a mia figlia, ho detto pochissime volte “ti amo”, e non me ne ricordo nemmeno una. Ricordo un mio amico di gioventù, Renato, che diceva come lui avesse desiderato tante donne, amata forse una, ma a nessuna aveva mai voluto bene. Allora risi, come fanno gli sciocchi, quando non capiscono. Voler bene è più forte di amare: vuol dire volere il bene di una persona, ed essere quindi anche pronto a fare un passo indietro, o a restare lucido, quando l’egoismo e l’infantilismo ruggiscono dallo stomaco e dalla gola. L’amore, per come lo intende il 99,9% della popolazione (e se ne vedono le orribili conseguenze), è una forza che riunisce desiderio sessuale, insicurezza, inadeguatezza, bisogno di restrizione, possesso e manipolazione – e soprattutto coesione più o meno simbiotica delle debolezze di entrambi. La responsabilità viene esternalizzata, la storia di una coppia (e quindi la propria) viene riscritta non più sotto forma di romanzo, ma di epos arcaico, in cui tutto è simbolico, specie ciò che viene inventato. La forza di proiezione reciproca (e quindi le aspettative ingiuste ed insoddisfatte) è talmente forte, da rendere la realtà una variante noiosa e perniciosa, scansata specie nello storytelling che viene usato per costruire la personalità e la memoria tribale dei figli. In quell’amore lì, perché funzioni, la donna deve annullarsi e confluire nella follia di quell’unico uomo che, pazzo per i propri limiti, le proprie ferite inguaribili, la propria frustrazione, incapacità, inadeguatezza, scopre in questa donna l’unico punto dell’universo in cui lui possa sentirsi ok. A volte nemmeno questo basta, perché dopo un po’ quell’uomo, resosi conto dell’abdicazione all’intelligenza fatta dalla donna, la trova noiosa. A quel punto esistono migliaia di finali possibili, tutti chiamati “storia d’amore”. Ne ho avute tante, e sono state tutte incubi della peggior specie, tant’è che la donna che forse ho amato più delle altre (a parte mia figlia, di cui voglio VERAMENTE ed onestamente il bene) è stata una che ha resistito ad ogni manipolazione, ad ogni lusinga, ad ogni morale, e che ha diviso nettamente il sesso dal resto. Tutto il resto è stato dipendenza, e la spasmodica ricerca di persone sufficientemente deboli da accettare questo “amore” orrendo, perché era meno spaventoso della solitudine ignara e piena di paure che le dominava. Ma non erano loro ad essere sbagliate, ero io. Ed alla mia età è ridicolo ed offensivo tirare in ballo qualcosa e/o qualcuno che mi abbia influenzato. Sono fortunato ad esserne uscito vivo, e più consapevole. Vivo da solo, ma non sono mai stato meno solo di adesso. Non pretendo più, nemmeno da me stesso. Peccato che ci abbia messo così tanto tempo per capire e che, in certe situazioni, il Paolo di prima esploda nuovamente, con tutta la sua collera e la sua perfidia, per poi vergognarsene un’ora dopo. Una persona, questa settimana, mi ha spiegato un concetto difficile: a volte, una persona che ti fa male perché ti vuol bene davvero, è molto più salvifica di una che ti fa bene, perché gli conviene. Non voglio demonizzare il commercio dei finti affetti e della blandizie, che sarei un ipocrita, dato che in questo campo sono un commerciante di valore internazionale, ma anche uno che ci casca quasi sempre. Un errore, un tradimento, per quanto grande, non uccide un affetto vero. Shit happens. Amare vuol dire quindi volere che la persona amata stia bene, ed a qualunque prezzo, compiendo a volte, nel percorso, qualche cretinata. Amen.

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