Era il 4 maggio 1975, ed era domenica. Me lo ricordo bene, perché mio papà compiva 44 anni, ed avevamo festeggiato di sabato, al mare, con tutti i parenti, e c’era ancora mamma. E c’erano i miei fratelli più piccoli, ma anche quelli più grandi, come Mitch (Stefano Seguiti), Claudio Zei, Roberto Sgambati, Maurizio Nunzi, ed i loro genitori. Poi eravamo tornati a Roma ed io, per la prima volta, ebbi il permesso di andare a vedere Edoardo Bennato dal vivo. Era a Villa Borghese, e c’era un mare infinito di gente. C’erano quegli amplificatori immensi, che oggi non servono più. Mi immaginavo chissà cosa, credevo chissà cosa, pensavo che questo sarebbe stato il primo di migliaia di concerti che avrei visto, diventando grande – ed avevo ragione. La musica mi ha accompagnato più dell’amore, più della rabbia, più della fatica, più dell’ambizione, è stata il perno, grazie al quale ho capito cose complesse, ho percepito il ritmo delle cose, delle persone, delle situazioni, dei silenzi, degli addii. Ed anche quella sera, emozionatissimo, sporco di fango, Edoardo aveva un messaggio per me, che l’ho capito solo tanto tempo dopo; “quando ti alzi e ti senti distrutto, fatti forza e vai incontro al tuo giorno, non tornar sui tuoi soliti passi, basterebbe un istante”. Quanto è maledettamente vero. Oggi, mentre facevo gli auguri a mio papà, al telefono, mi è tornato in mente quel concerto, e quel messaggio, che ora è inciso con il titanio sulla mia coscienza e detta il ritma di questa nuova, estrema stagione: “mentre tu sei l’assurdo in persona e ti vedi già vecchio e cadente, raccontare a tutta la gente del tuo falso incidente…” Oramai sono dieci anni che, giorno dopo giorno, su Facebook vi racconto di quel falso incidente, e di quanto tutto sia assurdo. Come diceva Gaber, i vecchi bisogna ammazzarli da bambini. Con me siete arrivati troppo tardi.

Lascia un commento