Ci sono storie d’amore, magari contrastate ed impossibili, che finiscono e lasciano una scia di dolore, di non detto, di non fatto. Perché l’amore è una vibrazione, non un ragionamento. Quando ero ragazzo, un mio amico finì nei guai aver dato un cazzottone a Francesco Rutelli, che era il delfino di Marco Pannella. Perché i Radicali non stavano alle regole condivise e lo facevano con un’arroganza che allora trovavamo insopportabile – eppure avevano idee che condividevo, che condividevamo, talvolta che invidiavamo, per coraggio e determinazione. Sicché ho votato Radicale molte volte, ed ho fatto anche un paio di tentativi (andati male) di partecipare alla loro vita interna. Ma se c’è una cosa che non mi sarei mai potuto immaginare, è che, morto Pannella, la Signora Bonino facesse un accordo, in ordine cronologico, con Benedetto Della Vedova, Piercamillo Falasca, ed ora Bruno Tabacci. I due soci prossimi venturi, a questo punto, saranno Domenico Scilipoti e Denis Verdini – magari con degli endorsement di Luca di Montezemolo e Antonio Di Pietro. Non ho idea se la popolazione possa e voglia premiare questo carrozzone penoso e distopico, sono felice del fatto che sul simbolo non ci sia la parola Radicale. In un momento storico in cui c’era bisogno di nervi saldi, di linee politiche lungimiranti e solide, di candidati credibili e – se necessario – dell’accettazione che sia meglio restare fuori che partecipare al Satyricon che sarà la prossima (brevissima) legislatura. In Parlamento ci si va (se gli elettori vogliono) a fare qualcosa. Costoro vogliono solo lo stipendio ed avere una scritta sul biglietto da visita. A causa loro, Radicale sta diventando simbolo di patetico voltagabbana. Mi viene da piangere per la rabbia, non ho il sarcasmo di Annarita Digiorgio, né il pragmatismo di altri amici Radicali che, lo so bene, in queste ore stanno soffrendo…

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