Pare che “Life on Mars” in un’assurda trasmissione di gala negli Stati Uniti sia stata la sua ultima canzone dal vivo. Dieci anni prima che morisse, ma quando era già molto stanco, e si vede. Non ha più la voce di un tempo, non è più sexy (come è stato per oltre 40 anni), deve cantare un’ottava più in basso del solito. Ma adoro questa versione, che parla di cose che conosco fin troppo bene. Nel testo, come sapete, Bowie sfotte il mondo del cinema ed il tentativo di imporlo nella vita reale. Il palco, l’unico posto in cui è possibile essere sé stessi, essere veri, sopportare la solitudine e la necessità di autodistruggersi. Fino al momento in cui ci si arriva, ad entrambe le cose, ed ecco che ti prendono la paura, la delusione, le ultime bugie cadono in brandelli. Una settimana fa pensavo a questo, mentre sedevo vicino ai grandi occhi spalancati di Giulia, così piccola e così nuova e pulita, e capivo che posso e devo essere me stesso anche senza palco, perché non ho più nulla da dimostrare. Ora devo solo guarire. Ma sono una malattia resistente… Aron Massarutto, tremante di eccitazione e paura, metteva in scena una perifrasi di Bowie. Chissà in quanti hanno capito cosa stesse veramente facendo? Non importa, Bowie lo ha cambiato lo stesso, ed in meglio. Piero Brega mente ed ha ragione allo stesso tempo. Dobbiamo batterci, c’è ancora bisogno di noi. Non c’è vita su Marte, David, e spesso nemmeno sulla Terra. Impariamo ad esserci sempre, e non solo dal palco. Lo dico a me stesso, naturalmente. Ognuno è responsabile solo delle proprie, di stronzate. Bastano e avanzano.

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