Mi ero svegliato di notte, di soprassalto, come adesso. Qualcuno aveva cercato di entrare in casa, come stanotte. Non con il grimaldello, ma suonando alla porta. Allora era la Polizia Ticinese, armata di schiaffoni, sputi, insulti, stivali per colpirmi ovunque. Avevo scritto di Carla Del Ponte ed i suoi legami con la mafia, ed avevo iniziato a parlare con Gianluca Boscaro, che aveva iniziato la sua carriera (sul filo del rasoio) lavorando in Via Pioda, a Lugano, da Tito Tettamanti e Giangiorgio Spiess, a pochi metri dall’epicentro della criminalità organizzata – in Via del Pretorio, in quei pochi metri che intercorrono dalle finestre del procuratore più “morbido” a quelle della Loggia Massonica Alpina. Gianluca aveva per cliente un matto scocciato, che stava cercando di far riconoscere uno Stato indipendente nel Sahara Spagnolo: un tale Guido Garelli, i cui successori sono ancora in giro e si spacciano per principi plenipotenziari di un’isoletta dei Caraibi. Ma da lì Boscaro aveva iniziato a lavorare per la criminalità kossovara, credo senza saperlo, visto che il suo referente era un banchiere e costruttore albanese ancora potentissimo (e che quindi non posso nominare) ed allora estremamente “stimato” dai fiduciari ticinesi e dalle banche della Svizzera interna. Per giunta avevo scritto dei legami tra la FiMo di Chiasso, il traffico d’armi e di droga, la famiglia Cotti, e la UBS. Tutto il resto avevo potuto scriverlo senza che nessuno si agitasse troppo (una parte di quella storia era stata raccontata anche dagli altri giornali, e Gianfranco Cotti, presidente di FiMo, era stato “premiato” con un posto nel consiglio di amministrazione di una banca zurighese, poi rapidamente acquisita e cancellata dal Credit Suisse), ma toccare la UBS, questo no. Qualche anno dopo, invece di farmi pestare, decisero di offrirmi un lavoro. Mi avevano addomesticato, non ero più tanto pericoloso… ed infatti, di lì a poco, cominciai a disprezzarmi, tanto da decidere di smettere di fare il giornalista. Gianluca sapeva troppo, e pagò con la morte. Ufficialmente, il suo parapendio si aprì male, e lui cadde come un sasso. Chi vive in Ticino forse si ricorda di lui e dei dubbi sulla sua morte. In quei tempi, in Ticino, si moriva facilmente, i fiduciari che sapevano troppo si suicidavano a mazzi: Boscaro, Tramezzani, Jermini, Rizzoli, Moederle, e la lista è ancora lunga… Io, che non contavo nulla, presi solo un sacco di botte, con mia figlia che dormiva al piano di sopra, cercando di non svegliarla, e quindi cercando di stare zitto, mentre quelli mi spaccavano la faccia. Non ho mai preso tante botte, in vita mia, come quella notte. Mai. Perché da allora in poi ho cercato di evitare, non sono molto coraggioso, anzi… Erano venuti già qualche giorno prima, ma Valentina ed io eravamo scappati insieme a Dario De Vico, che ora è uno dei più famosi e stimati giornalisti del Corriere della Sera, ma allora era solo un ragazzo in gamba che iniziava la carriera. Scemi che eravamo, non sapevamo se essere più spaventati o orgogliosi – e non potevamo immaginare la violenza…oggi so che la Polizia ticinese è alla pari di quella nordcoreana, e che il Massacro della Stampa non fu un caso, ma un piano accuratamente studiato a tavolino e perseguito con ferocia di belve. Da allora, di notte, basta un certo di tipo di suono ed eccomi sveglio, terrorizzato, anche se è passato più di un quarto di secolo, da allora. Vado a vedere dallo spioncino. C’è una signora che ho già incontrato mille volte per strada, anche perché, da un paio d’anni, è lì che vive e dorme. Non mi interessa farmi bello con voi, ho fatto ciò che avrebbe fatto chiunque. Ora dorme e russa in salone. Ed io non ho più paura, e tra qualche minuto mi sarò nuovamente addormentato. Perché contro la violenza cieca del potere malato delle banche, della criminalità organizzata, della politica corrotta e fascista, di quella parte di magistratura e polizia che, in tutto il mondo, ha scelto quel mestiere perché gode nel far soffrire, umiliare e sanguinare la gente, c’è solo il calore umano. Il sapere che questi demoni non possono essere sconfitti, e che l’unico modo per dormire e per sognare un mondo diverso sia indicarli per strada, dirne il nome, non lasciarli fare, ma di notte stringerci tra noi, gli altri, coloro che hanno un cuore, un cervello, una vita vera, una passione, degli affetti, una consapevolezza sociale e politica. E noi, modestamente, lo nacquemmo.

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