Al termine di una lunga discussione di principio mi sono accorto del fatto che molte persone confondono educazione con istruzione. La scuola istruisce, la famiglia educa. Se la famiglia non vuole, non è in grado, non ce la fa, esistono una serie di supporti, come la Chiesa e l’Esercito, che intruppano bambini dimenticati, rifiutati, abbandonati, negletti, e li trasformano in non-genitori di domani. La squadra sportiva non educa, ma allena. Certo, insegna (come l’Esercito e la Chiesa, ma in modo spesso meno invasivo e comunque più potenzialmente positivo) l’appartenenza, l’utilità della solidarietà, il ragionare per un gruppo e non solo per sé stessi, l’utilità (a volte) nel rinunciare al proprio interesse individuale immediato in cambio di un utile molto maggiore da condividere con un gruppo. In ogni caso, è bene ribadirlo, la scuola istruisce, non educa. Specialmente la scuola come è oggi, in cui insegnano gli stessi padri assenti e le stesse madri-fidanzate che annientano allegramente la società, e che quindi vengono misurati sul fatto che: o diseducano i bambini, esattamente come fanno i genitori, ma sostituiscono padri e madri nel porre limiti, imporre divieti, costruire competenze sociali e comportamentali, laddove i genitori non sanno, non vogliono, non possono; oppure vengono bistrattati, umiliati, aggrediti da orde di non-genitori inferociti, che vogliono solo scaricare le proprie responsabilità e vogliono poter avere la stessa età dei loro figli. I figli dei figli della mia generazione sono ingestibili. La scuola, così, non la salva nessuno. E quei bambini, che oggi si dividono chiaramente tra geni e disadattati cronici, dovranno reinventare tutto da capo, partendo da un punto nevralgico che osservo nei due bambini che amo di più come un bisogno naturale e quasi disperato: il bisogno di imparare VERAMENTE il significato delle parole, l’anelito irrefrenabile a trovare modelli di espressione, percezione e valutazione condivisi e ragionevoli. Insomma, più li vedo, e più mi accorgo che li stiamo costringendo (come società) a fare loro da genitori a noi ed ai nostri figli. E se si agitano, invece di sostenerli, invece di essere padri e madri, diamo loro un videogioco o delle pasticche calmanti.

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