Ci sono diversi affetti, diversi tra loro per profondità, proiezione, bisogno, pulizia… ma in una cosa si assomigliano tutti – sono legati ad un’espressione di sé che, quando cambia, trascina con sé anche sentimenti e sensazioni. Non succede di colpo, come in “Nuovo swing” di Enrico Ruggeri, ma con una lentezza estenuante, giorno dopo giorno, passo dopo passo. Te ne accorgi solo quando la candela si è oramai quasi spenta, perché non si percepiscono più né la luce, né il calore. Resta un grandissimo affetto, scompare la condivisione, perché di ciò che di nuovo stiamo vivendo non possiamo, non vogliamo dire – per mille motivi, tutti validi. Spesso perché ci infastidisce che l’altra persona ci veda cambiati e scopra che, alla fin fine, si era stati solo funzioni affettive, e non affetti veri. Cose che capitano, davvero, nessuna tragedia, nessuna colpa, nessun crimine. Ma quando si arriva a quel momento, sostenere che si soffra è manierismo, o una bugia. Restano (forse) gli ultimi tentativi di rifugiarsi nella routine, cercando di far sembrare tutto come prima. Ma la qualità del tempo trascorso insieme è pari a quella della visita parenti – una volta all’anno – per evitare di venire invitati al Cenone di Natale. Quando si arriva a questo punto io, da sempre, cambio città e vita. Con un sorriso ed un abbraccio. Oppure scompaio. Una persona, recentemente, mi disse malinconicamente che la vera Mary Poppins sono io. M.A. ha ragione: nella storia della mia ampiezza folle e solitaria, sapendo che Mary Poppins non sarebbe mai venuta a salvarmi, l’ho ricreata dentro di me. Ed ora c’è il Vento dell’Est. Apro l’ombrello.

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