Oggi, 38 anni fa, moriva Ugo La Malfa. Non ho mai potuto stringergli la mano di persona, ma i suoi scritti hanno profondamente influenzato la mia vita. Gli amici Repubblicani mi hanno chiesto di scriverne un ricordo. Eccolo. La prima volta che ho visto Ugo La Malfa era il 17 febbraio 1977. Insieme ad altri ragazzi di Lotta Continua, avevamo impedito a Luciano Lama, segretario confederale della CGIL, di tenere un comizio all’Università. La Malfa invece riuscì a parlare e disse delle cose semplici, appassionate, ma che non avevo mai sentito prima. Nei miei ricordi, disse che l’identificazione del nemico, che per noi era la chiave di volta per definire l’appartenenza, fosse la trappola che ci impediva di crescere, mentre la vera sfida era quella di identificare i possibili compagni di strada. Disse che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica fossero alla pari, che la divisione tra DC e PCI fosse solo un artificio retorico, perché entrambi, insieme, conducevano l’Italia in un’unica direzione, e che si trattava di cambiare la direzione, e per far quello c’era bisogno non solo di parte del PCI e della DC, ma anche e soprattutto dell’immaginazione e l’entusiasmo del movimento studentesco. In mezz’ora, Ugo La Malfa mi insegnò a vedere le cose in prospettiva. Mi insegnò che l’adesione acritica sia una rinuncia alla propria responsabilità. Mi spiegò che essere cittadino sia molto di più di essere compagno, perché mi costringeva a cercare il bene di tutti, anche di persone a me estranee in tutti i sensi, solo perché il bene comune dev’essere, necessariamente, comune. Mi consolò, dicendo che non si vince, non si perde, ma si prosegue. Mi fece paura, perché era così piccolo, parlava in modo così buffo, e si sentiva un leone. Non sapevo nulla di tutto ciò che seppi, un briciolo alla volta, nei decenni successivi. Non avevo letto “L’Altra Italia”, non sapevo nemmeno dell’esperienza del governo Parri-La Malfa, nulla della Nota Aggiuntiva. L’idea di militare nella Federazione Giovanile Repubblicana, che di lì a tre anni avrebbe per sempre cambiato la mia esistenza, era lontana da me quanto la possibilità di emigrare in Bhutan. Non ero insieme a Ugo, Davide, Daniele, Denis e gli altri che accompagnarono il feretro. La mia anima era altrove. Erano passati pochissimi anni, ma era cambiato tutto. Credevo di essere inguaribilmente stupido, inutile, esecrabile, povero. Poi conobbi Eddie, e attraverso di lui (e grazie alla sua pazienza) ho trovato la strada per la parte di me stesso che temevo di più. I miei anni in FGR e nel PRI di Roma sono stati un ottovolante di passione, rabbia, entusiasmo, dubbi, incapacità, orgoglio, superbia, attività frenetica, vittorie sorprendenti e tragiche sconfitte. La Malfa era divenuto un amuleto, un simbolo apotropaico, un altarino desemantizzato, tant’è che alla guida del PRI venne Giovanni Spadolini, che fu la fine di tutto, e l’inizio di una cosa, che ho disprezzato con franchezza, uccisa giustamente dall’evoluzione darwinistica nel 1994. Poi cominciai a leggere. La Malfa, Gobetti, Mazzini, Franscini, Leopardi, Buzzati, Pavese, Landolfi, Gadda. Un lungo percorso che porta a Schumann ed Adenauer, ma anche a Marx ed i fratelli Brie. Poi gli studi di economia, le esperienze di vita e professionali, l’età che cresce. Finché, nel 2011, quando ho iniziato a scrivere Teatro Canzone, ho ripreso tutto, partendo da quel discorso del febbraio 1977. Ho capito i miei ricordi. Ho letto in biblioteca gli atti del governo Parri-La Malfa. Spero di aver capito gli anni di formazione e di essermi reso conto di quanto sia ancora oggi rivoluzionaria, visionaria, efficiente, pragmatica ed affettiva la linea lamalfiana di politica nazionale ed internazionale. Ho capito che lui era l’unica alternativa politica possibile in un Paese incastrato in un ricatto concorde orchestrato dalla storia, dalle potenze straniere, dagli interessi convergenti delle forze economiche e dalle debolezze della nostra intelligenza e consapevolezza. Il Cittadino Armando Contucci mi raccontava di terribili crisi di collera di La Malfa, e ricordo che ne sorridevo. Oggi capisco che si sarebbe dovuto ridere di me, e del tempo che stavo perdendo. Ugo La Malfa ha collaborato con l’Italia della Chiesa fondamentalista ed ancora memore dello Stato Pontificio, con il fascismo, con il potere sotterraneo della massoneria e della mafia, con tutti. Era un uomo intelligente e con il coraggio della consapevolezza, che manca come una ferita inguaribile ai politici di oggi. La Malfa, con la politica di redditi, un’idea a cavallo del marxismo e della politica sociale mussoliniana, ma con un grado di innovazione impensabile, aveva mostrato a tutti la chiave. Quando la morte gliela fece cadere dalle mani, nessuno ha avuto il coraggio di raccoglierla. Ancora oggi, tutti fanno finta di non vederla, lì, a terra, a prendere polvere. Per questo, ancora, adesso, Ugo La Malfa è un possibile futuro dell’Italia e dell’Europa. Un futuro che, temo, non vedrò mai realizzato, sono troppo vecchio ed è troppo giovane e futuribile l’intuizione lamalfiana. A me, a noi, spetta solo di cercare di capirla, quella chiave, e testimoniarne l’esistenza, magari superando le beghe sciocche che ci dividono. Purtroppo, quando si ha un padre così, si ha la tendenza a restare tutti bambini. Per sempre.

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