Non so far funzionare la macchina fotografica del mio cellulare. Generalmente non me ne frega nulla, oggi mi avrebbe fatto bene. Certo, perché ci sono giornate in cui clienti saccenti emollienti esorbitanti rompenti scacchierellanti riaprono dossier chiusi dai tempi degli Egizi e se ne vengono fuori con domandine del tipo: Ma lei non ha considerato gli anni tra il 1979 ed il 1991. Cosa faceva il nostro in quel periodo? Rispondo: era un ufficiale dell’Esercito. Contro-domanda: Ma come lo faceva? Erano contenti di lui? Usciva con delle ragazze? Chi pagava? E già che ci siamo: di che colore era il cavallo bianco di Garibaldi? Abbiamo una prova documentale? Generalmente, in questo caso il cliente chiede di un genoveffo qualunque, di cui vuole a forza essere sospettoso, ed invece parrebbe un coglione copia e in colla come miliardi di ectoplasmi vestiti a fuffa, che non tradisce la moglie perché ce l’ha piccolo e non ha soldi, non ruba perché sa contare solo fino a venti, e l’unica volta che ha dato uno scappellotto al figlio, quello lo ha mandato all’ospedale a forza di reset maneschi del tipo liscio e busso. Uno di cui uno dei maggiori filosofi dell’età contemporanea, Snoopy, diceva: Un uomo nacque, visse e morì. Tranne poi aggiungere che fosse una notte buia e tempestosa, che diamine. Quando ho da fare di queste cose, il mio cervello trasuda al di là delle orecchie e mi costringe a compiere atti anarcoinsurrezionalisti, o comunque a scompaginare i testicoli mentali della gente che mi capita a tiro. Lo so, al giorno d’oggi la moda imperante consiglia di rubare un TIR e travolgere i passanti. Mi sembra antiestetico e volgare. Nella stanza di hotel nella quale subisco l’estate incipiente c’è un triangolo di cartone – 15 x 20 centimetri, pesante, sintesi tra mezzo metro quadrato di foresta amazzonica e mezzo litro di bitume marcio del Mare del Nord – quello che ammazza orsi e pinguini – su cui c’è una foto di due mani maschili, forti ed aperte, che contengono la palla prodotta da un rumine di tragulo macchiato dello Sri Lanka: verde, salivica, filamentosa, obbrobre, metamefitica. E la scritta: “Grazie a lei la Terra vivrà più a lungo”. Se non ci credete: http://bioimita.it/grazie-a-lei-la-terra-vivra-piu-a-lungo/. Siccome non sono Paolo Levi Sandri o Daniele Bevar, non sono in grado di calcolare di quanto io, tenendomi gli asciugamani per tre giorni, allungo l’agonia planetaria. Un decimo di secondo? Ma davvero davvero? Secondo me sarà molto di meno, comunque mi informo. Chiamo la reception. Perché nella pecetta c’è scritto che lì potranno dirmi di più. All’inizio, l’impiegato è zuccheroso. Ma certo Dottorfusi, hihihi Dottorfusi, malepare Dottorfusi. Dopo un paio di minuti sento che gli cresce l’ansia nel respiro. Fa finta di avere un cliente che gli rivolge la parola. Prende fiato per qualche secondo. Lo sommergo: quale effetto avrebbe una mia trascuratezza sulla guerra in Siria? E sullo scioglimento dei ghiacci? Hanno fatto degli studi? Quanto detersivo usano per chilo di asciugamani? Quale detersivo? Perché lei non è informato di questo? Mi passa il direttore? Ho degli amici importanti a Genova, vuole che li chiami e chieda a loro come mi devo comportare? Quando nomino Beppe Grillo come protettore della mia isteria, sbrocca. Dottorfusi la devo lasciare, io non ho il tempo che ha lei, devo lavorare. Gli dico: allora scendo e ne parliamo mentre lei lavora, non sono ancora soddisfatto. Gli scappa un grido, mezzo secondo, non di più, riattacca. Penso: ora tira fuori il coltellaccio di Hulk Hogan e scanna due colleghe, così che si usano in trenta secondi gli asciugamani al cui lavaggio hanno rinunciato centinaia di clienti. Scendo. Gli vado incontro sorridente. Lui smania, mi guarda fisso e dice qualcosa sottovoce al telefono. Poi mi guarda, martoriato ed inerme. Al bar ho preso per lui un caffè con un briciolino di cioccolata, glielo porto, gli chiedo scusa, ammetto di avere un senso dell’umorismo irritante, noioso, infantile, pernicioso, pertinace e pomposo. Non conosce le ultime parole, ma capisce che chiedo scusa. Si sgonfia come un pomodoro avariato. Gli dico: non voglio che il Pianeta duri più a lungo. Questa responsabilità non posso prendermela. Ride e dice: allora ho fatto bene: quando l’ho vista arrivare ho mandato il service nella sua stanza e le ho fatto sparire tutti gli asciugamani. Così non potrà sporcarli, né usarli per impiccarsi. Ed ecco che, come da uno squarcio tra le nuvole, emerge il sole, e la mia giornata è salva.

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